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Cronaca
20.12.18 - 09:000

"Io e i miei figli in fuga da un uomo violento. Fate almeno finire l'anno scolastico a mia figlia malata di fibromialgia"

La storia di una donna ucraina. "Ho osato dire che un uomo italiano sbagliava verso i ragazzi: da due anni siamo in Ticino. Ci dicono che possiamo tornare in Italia. Ma piuttosto vado nel Donbass, anche se non ho nessuno"

BELLINZONA – “Vorrei che prendessero in esame la mia domanda, chiedo un miracolo. Ma almeno mi auguro che mia figlia possa finire l’anno”. È l’appello di una madre (nomi noti alla redazione) per la figlia: da alcuni mesi, lei, la ragazza diciassettenne, che soffre di fibromialgia, e il bambino avrebbero dovuto lasciare la Svizzera. 

Una storia comune ad altre famiglie, ma in un certo senso diversa. I tre sono arrivati due anni fa a Chiasso. Non scappavano dall’Ucraina, bensì dall’Italia, in fuga dal padre dei ragazzi. “È stato violento non solo con me ma anche con i miei figli”, spiega con voce rotta. “Mi dicono che esiste una rete di protezione per le donne, è vero. Ma per i figli? Quello che ha fatto…” e non vuole aggiungere altro. “È spaventoso”.

I tre giungono a Chiasso, restano un periodo nel Centro richiedenti l’asilo. La ragazza perde un anno scolastico (in Italia frequentava già il liceo), poi la svolta. “Abitiamo in una struttura alberghiera. Ci troviamo bene. Mia figlia è iscritta alla prima liceo dal settembre dello scorso anno, frequenta, si impegna. Non la volevano prendere perché era finito per lei l’obbligo scolastico, l’hanno accettata al liceo privato ma va benissimo. Prima è stata ammessa come auditrice per vedere se andava bene, alla fine del primo anno ha avuto il via libera”, racconta con orgoglio. “Si è integrata, non racconta molto della nostra storia. Ha alcune amiche, fa una vita normale”.

Anche la signora e il bimbo si sono integrati. Ma poi la doccia fredda. “Non vogliono entrare nel merito della nostra domanda. Ci dicono che avendo tutti i documenti potremmo tornare in Italia: ma io non posso! C’è lui, c’è la sua rete che mi cerca. Mi viene risposto che andrei in un paese democratico, con tribunali a cui rivolgermi. E magari prima o poi avrò giustizia. Sono straniera e ho osato dire che un uomo italiano ha sbagliato nei confronti dei miei figli. Ho sbagliato questo, come si permette una straniera di dire cosa deve fare un uomo?”, prosegue amareggiata. Non è stato un errore, le diciamo. Nessuno deve essere picchiato.

Il bambino capisce poco, ci dice. In Italia non vuole tornare. “Piuttosto torno nella mia regione natale, il Donbass, dove tra l’altro c’è la guerra. Nemmeno questo interessa alla Svizzera, visto che per noi ci sarebbe la soluzione italiana. Ma se devo andarmene torno in Donbass, non ho parenti, mio padre è morto, l’unica cosa che avrei di familiare sarebbe la lingua”.

È grata alla Svizzera. “Siamo stati accolti per due anni, vi ringrazio tanto, la Svizzera è stata molto generosa con noi”. Ma dal 18 settembre sarebbero dovuti andare via. Il rinvio è avvenuto perché ha chiesto tramite l’ambasciata ucraina il passaporto ucraino per il figlio, mentre la ragazza ha già il passaporto. Attendono il rilascio.
“Speranze di rimanere qui? Spero in un miracolo! Ci hanno già detto due volte che non entrano nel merito della richiesta. A settembre dovevamo andarci, nei sei mesi successivi ci hanno scritto affermando che avrebbero preso in esame il dossier, visto che non siamo andati via. Non so… non mi intendo di leggi. Aspetto un miracolo, un altro”.

È stata lanciata una petizione su charge.org, per chiedere che la ragazza possa finire l’anno scolastico. “Mi dice: studio, ma per cosa? Per essere sempre in prima? Lei sta male, oltretutto soffre di fibromialgia, ha dolori, prende antidolorifici. Il suo psicologo dice che la malattia è il suo modo di non impazzire, porta il peso di tutto quello che succede ed è successo, non è facile”. La paura della madre è che la ragazza possa stare peggio. “Potrebbe restare lei in Italia a studiare, lei invece preferisce venire semmai in Ucraina con me, per rimanere con me, anche a metà anno. Ma non conosce neppure la lingua”.

E lancia un appello. “Se devo esagerare, chiedo di esaminare la mia domanda. Almeno di far finire a mia figlia l’anno scolastico”.

La petizione dell’Associazione DaRe sinora ha raccolto un centinaio di firme. “Dopo due anni in Ticino, la famiglia aveva iniziato ad ambientarsi: la ragazza frequenta il liceo con impegno, il suo fratellino ha iniziato la scuola elementare e ha finalmente trovato l'ambiente protetto e favorevole che ogni bambino della sua età ha il diritto di vivere. Trasferire la famiglia significherebbe interrompere in modo duro il percorso scolastico e di vita dela giovane e del suo fratellino, e sottoporli nuovamente, in un altro paese, a delle situazioni in cui la loro integrità e i loro diritti in quanto minori sono gravemente minacciati”, si legge.

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