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Cronaca
21.01.20 - 16:500
Aggiornamento: 22.01.20 - 23:19

"Se la Svizzera disdice l'accordo, non ci saranno più ristorni e i frontalieri pagherebbero di più". Ma un deputato è convinto: "Non succederà"

Lo studio commissionato dal Governo ticinese all'Università di Lucerna sta facendo discutere oltre Frontiera. Currò: "La disdetta avrebbe ripercussioni su entrambe le nazioni"

VARESE – In Italia sono convinti che nulla cambierà e che la Svizzera, nonostante il Governo ticinese abbia commissionato uno studio per capirne le conseguenze, non rescinderà l’accordo fiscale del 1974.

“L’unico accordo in essere ma mai ratificato dai due parlamenti è quello del 2015. Da lì bisogna ripartire se si vuole modificare la normativa”, ha spiegato il deputato PD Enrico Borghi.

“Nel 2016 inoltre, io e altri colleghi, abbiamo presentato e fatto votare una mozione che poneva dei paletti a quell’accordo. All’aspetto fiscale, si sarebbe dovuto abbinare quello sociale. Ai frontalieri non andavano chiesti solo doveri ma riconosciuti dei diritti varando uno Statuto del lavoratore frontaliere che fino ad ora non c’è. Sono cose che la settimana scorsa, quando abbiamo incontrato il presidente del Gran Consiglio del Canton Ticino sono state dette sia da parlamentari di maggioranza e che di opposizione. Ci siamo presentati come italiani”, termina.

Sergio Aureli, sindacalista, sottolinea come la rescissione unilaterale sia una delle possibilità che la Svizzera ha. Ovviamente in Italia non la caldeggiano perché vorrebbe dire che non verrebbero più versati i ristorni e che i frontalieri sarebbero tassati in Italia, pagando dunque più tasse.

“La disdetta dell’accordo avrebbe ripercussioni su entrambi gli attori”, ha detto a sua volta il deputato del Movimento 5Stelle Giovanni Currò. Ma è convinto che non avverrà dati gli ottimi rapporti fra i due stati e sottolinea l’importanza del dialogo.

Che però sul tema non pare portare a molto, almeno sinora.

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