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11.02.20 - 09:000

Pontiggia, la discriminazione e l'Olocausto. "Se puniamo più idee, significa che ci sono più sacche di intolleranza"

Commento controcorrente del direttore del Corriere del Ticino: "A nostro parere una liberaldemocrazia dovrebbe vietare e punire, anche duramente, le azioni che discriminano, ma non le idee che esprimono valori illiberali"

MUZZANO – Per il direttore del Corriere del Ticino Fabio Pontiggia il voto di domenica che fa della discriminazione basata sull’orientamento sessuale un reato è una vittoria a metà. “Se nel Codice penale aggiungiamo altre idee da punire vuol dire che nella società, malauguratamente, ci sono più, non meno, sacche di intolleranza. E significa che per arginarle lo Stato diventa, suo malgrado, meno tollerante. Sarebbe molto più tollerante e aperta una società che non avesse bisogno di norme penali del genere, una società che si limitasse a punire solo gli atti di discriminazione, perché quelli vanno sempre e in ogni caso messi al bando e sanzionati”, ha scritto in un’opinione sull’edizione di ieri.

“Sia ben chiaro: discriminare qualcuno per la razza, l’etnia, la religione o per le sue scelte sessuali è inaccettabile, illiberale, incivile, un passo indietro sulla strada del progresso della nostra società, un passo verso il buio, un autentico regresso. Se ci si pone tuttavia sul piano penale, a nostro parere una liberaldemocrazia dovrebbe vietare e punire, anche duramente, le azioni che discriminano, ma non le idee che esprimono valori illiberali, per quanto balorde e ripugnanti esse siano”, è il suo parere.

Che spiega così: “È giustissimo sanzionare penalmente chi rifiuta ad una persona un servizio destinato al pubblico perché quella persona ha la pelle o la fede diversa dalla nostra o perché sessualmente ha orientamenti non in linea con quelli che dai più vengono considerati abituali o naturali. È discutibile invece, proprio in un’ottica liberale, condannare qualcuno per un’opinione espressa a voce o per iscritto, senza seguito pratico, senza azioni conseguenti”.

E prende come esempio le tesi negazioniste sull’Olocausto: “sono rivoltanti. Ma una liberaldemocrazia le contrasta con la verità dei fatti storici, non ha paura di confrontarsi con esse, di lasciarle correre per sbugiardarle con la dialettica del ragionamento documentato. Il confronto pubblico è anzi un esercizio utilissimo in rapporto alle nuove generazioni, uno strumento efficacissimo di conoscenza e quindi di continuità della memoria. Il delitto di opinione non piace mai ai liberali, nemmeno - giova ripeterlo - per le opinioni più sconvolgenti e insensate. Che una comunità senta la necessità di codificarlo in una legge preoccupa: da un lato perché è segno che certe idee scioccanti e balorde sono diffuse (e purtroppo oggi ci sono rigurgiti inquietanti su certi fronti); dall’altro lato perché nell’elencare le idee da punire penalmente si sa dove si inizia ma non si sa dove si può arrivare”.

“Avremo fatto un notevole progresso solo il giorno in cui la stessa maggioranza sarà dell’idea che tale necessità non sia più data per le idee - che non saranno quindi più chiamate sul banco degli imputati - ma solo per le azioni”, conclude.

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