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04.02.19 - 14:420

Spettacolo (notturno) Van de Sfroos! Dal dialetto da imparare al frontalierato, parla lui. E canta, scrive e...

Il celebre cantautore farà tappa col suo "Tour de Nocc" al LAC. "Un disco? Si può fruire la musica in modo diverso, però sono un nostalgico e dunque potrebbe starci un vinile. Il timore per l'altro viene da un mondo che si reimpasta"

LUGANO – Torna con un nuovo spettacolo che farà tappa al LAC sabato prossimo. Davide Van de Sfroos è un fiume in piena di parole, di opinioni, di idee. Vuol regalare una serata dal clima notturno, un’unione tra passato e presente, già sapendo cosa lo aspetta nel futuro prossimo. E si esprime su temi di cultura, di società, con chiarezza e intelligenza.

Davide, chi sceglierà di venire al LAC cosa deve aspettarsi?
“In questo spettacolo, ovviamente la parola “Tour de Nocc”, che sembra quasi turno di notte, fa pensare a qualcosa che ha a che fare con lo spirito della notte, il rilassarsi su una poltrona, con luci soffuse. E sul palco ci sarà questo quintetto che cerca di rielaborare le canzoni, quelle vecchie, quelle più recenti, quelle apparentemente dimenticate, con uno spirito notturno e un arrangiamento jazzistico. Il sassofonista Riccardo Lupi, milanese, porta i suoi sassofoni e il suo flauto per trasferire nelle canzoni questo disegno e questo flusso che hanno a che fare col jazz. Ci saranno il batterista e percussionista Francesco D’Auria, il violinista Angapiemage Galliano Persico e il chitarrista Paolo Cazzaniga. dall’inizio con questa formazione invitiamo gli spettatori a lasciarsi andare, a lasciar fuori i problemi e gli stress e a viaggiare in queste due-tre ore dentro le canzoni che ben conosciamo o attraverso improvvisazioni e cose nuove. Si racconta, si scherza, si gioca. È un concerto notturno in teatro, ambiente che permette di rivolgersi al pubblico in modo più confidenziale”.

Eseguirà canzoni quasi mai sentite dal vivo assieme a quelle più conosciute. Interpeto giusto se le parlo di unione di passato e presente?

“Sì, è la ripresa di qualcosa della memoria che hai e che ci sono nell’ascoltatore, che incontra momenti di improvvisazione, di canzoni mai uscite dal cassetto, ospiti. Potrebbe venire qualcuno a trovarci per variare la sensazione di ascolto del brano”.

Immagino che non ci svelerà i loro nomi…

“Non sono ospiti per forza noti, non arriverà Jovanotti! Per esempio ci sarà un coro ticinese, che ci coadiuverà con le loro voci. Ci sarà un amico che verrà a trovarmi col pianoforte. Lasciamo un po’ di sorpresa, però con ospiti intendo amici che ho piacere a portare con me, non perché siano famosissimi ma perché stimo e musicalmente possono fare la differenza”.

Penso sia la cosa principale…

“Vero”.

Lei canta spesso in dialetto. Il candidato Germano Mattei ha parlato del dialetto come credenziale da inserire fra quelle fondamentali per lavorare nell’amministrazione pubblica. Cosa ne pensa?

“Se potessi sapere il significato profondo di tutto quel che vien detto di lavoro farei il veggente o il Mago Merlino! Ho sentito tante cose negli anni sul dialetto, pensiamo a quando qualcuno diceva che i professori dovrebbero sapere il dialetto per venire a lavorare nelle scuole. Ma ricordo quando ero bambino, era vietato usarlo a scuola per paura che si facesse confusione, scrivendo parole di italiacano nei temi o nelle relazioni scritte. Chiedevano ai genitori di parlarlo il meno possibile, non era possibile in una realtà contadina! Direi che se lasciamo perdere le esagerazioni, da una parte e dell’altra, e stiamo nel centro, forse troviamo qualcosa di ragionevole. A scuola e nei luoghi dove si parla dialetto sarebbe interessante insegnarlo un po’, per mostrare le differenze dall’italiano e per far sì che quando si usa un termine si sa come si scrive, soprattutto in una zona come il Ticino in cui la lingua dialettale è parlata da grandi e piccoli. D’altra parte, se io andassi a lavorare per parecchio tempo, magari anni, dove si parla romacio o ladino (in Alto Adige), forse due-tre parole le voglio imparare per poter parlare più in intimità con le persone. Mi verrebbe per simpatia per l’idioma e per interesse antropologico. Qualche termine ti deve restare attaccato, sennò resti un palombaro chiuso in una scafandro. Non è un errore voler imparare un po’ di dialetto, a far diventare tutto esasperato andrei cauto, però penso alla persona del sud che vive qui da cinquant’anni che ha imparato a parlicchiare dialetto. Io ho appreso canzoni del sud, in lingua salentina, sarda o siciliana e le canto”.

Sfrutto il fatto che lei è spesso al confine fra Italia e Svizzera per chiederle come vede l’attuale situazione tesa, soprattutto sul tema frontalierato. Un comasco-ticinese come lei cosa dice?

“Sono stato frontaliere musicalmente per tanti anni, ero più conosciuto in Ticino che in provincia di Como e varcavo il confine con i miei strumenti a bordo per andare anche alle feste di paese. Anche oggi vado e vengo con le emittenti televisive e radiofoniche, mi trovo molto bene, stimo molto i loro programmi e i loro modi di fare televisione e radio. Per ciò che mi riguarda, è tutto inalterato. Poi ho sentito delle stesse paure che ogni tanto anche l’Italia sventola. Quando si ha un po’ di timore per le cose che stanno succedendo, perché il mondo comincia a reimpastarsi in un certo modo, si comincia a guardare chi vien da fuori con sospetto, ‘ecco che arrivano’, ‘chissà cosa faranno’. Abbiamo sempre giocato con le differenze fra italiani e svizzeri, scherzandoci! Non siamo qui con la cortina di ferro, vedo molti ticinesi che fanno la spesa dove vado io o italiani che vanno nei locali notturni ticinesi o a comprare qualcosa. Il prurito viene, e si può anche comprendere, perché il numero di frontalieri è notevole, ma va capito cosa è davvero pericoloso e cosa no. Non è una criminalità organizzata che entra. Ho sentito molti svizzeri sostenere pienamente i frontalieri, perché servono, come a noi italiani servono gli extracomunitari per lavori che noi non faremmo. Che possano esserci delle macchie di criminalità è vero, lì bisogna intervenire”.

Torniamo allo spettacolo: parla di uno sguardo al futuro, cosa prevede quello immediato di Van de Sfroos?

“Il futuro immediato vedo un libro. In autunno è uscito “Ladri di foglie”, edito per Le navi di Teseo, giunto alla terza ristampa, segno che la gente sta leggendo. Sulla linea di questo ritorno alla scrittura, ho appena consegnato le bozze di un altro libro che uscirà a marzo, una sorta di taccuino dove sono finiti i miei pensieri, quelli di coscienza, di cose che avevo scritto sul Corriere della Sera. È prosa poetica molto libera, un taccuino da tenere in tasca leggendo di palo in frasca, dove le mie visioni prendono corpo. Musicalmente più che a un disco sto pensando a un tour estivo, a come organizzarlo, a che formazione fare. Andando avanti si ragionerà, ho dei brani nuovi ma voglio capire che tipo di lavoro fare e che cosa succederà ai cd in questo tempo di confusione. Si potrebbe fare musica, come fanno altri, facendo uscire canzoni in certi momenti e poi metterle tutte assieme. La musica ora si fruisce anche con compilation. Sono all’antica e un disco vorrei farlo, magari anche di vinile dato che sta tornando”.

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