MUZZANO – A distanza di qualche giorno dai fatti, Area è tornato sui licenziamenti al Corriere del Ticino (sette più due pre-pensionamenti, per un totale di nove persone che hanno lasciato il quotidiano), e lo stesso ha fatto OCST.
“Ad aver perso il lavoro sono un caporedattore a tempo pieno dall’esperienza ventennale (padre di tre figli), due giornaliste di lunga data che avevano ottenuto il tempo parziale dopo la maternità, un giornalista culturale, una ricezionista a tempo parziale, un’archivista a tempo parziale e uno stagista a cui non sarà rinnovato il contratto. A loro si sommano due prepensionamenti, per un totale di nove persone, giusto una in meno dell’obbligo legale dell’attivazione della procedura di licenziamento collettivo”, sottolinea Area. Se fossero stati, per esempio, 10, o più, il CdT avrebbe dovuto “allestire un piano sociale concordato, a consultarsi con i dipendenti o i loro rappresentanti e la possibilità di formulare proposte alternative ai licenziamenti collettivi”.
Syndicom ha definito sin da subito con toni critici i licenziamenti, e il personale ha chiesto la creazione di un comitato di redazione.
I sindacalisti e i responsabili delle associazioni dei giornalisti lamentano come da parte dei vertici non ci siano stati sacrifici. A loro avviso, una riduzione di stipendio o qualche pre-pensionamento di dirigenti prossimi ormai all’età dei 65 anni avrebbero potuto evitare i licenziamenti.
“Non gioca nemmeno a favore che il giornale abbia assunto negli ultimi tempi quattro nuovi collaboratori. Se due funzioni sono particolari (un caporedattore del flusso delle notizie della newsroom e un esperto di giornalismo multimediale “rubato” alla Rsi), le due assunzioni alla newsroom suscitano perplessità poiché quei posti avrebbero potuto essere proposti alle collaboratrici di lunga data, prima di metterle alla porta”, attacca Area. “Anche la scelta di licenziare le uniche due giornaliste a tempo parziale dell’intero corpo redazionale a seguito della maternità, è stata interpretata come un monito alle colleghe: 'Pensateci bene prima di avere dei figli». Un pessimo segnale all’universo femminile, proprio nell’anno dello sciopero delle donne”.
Anche Lorenzo Jelmini, in una nota dell’OCST, rimarca il dato delle due donne licenziate. “Non possiamo certo condividere la scelta delle persone coinvolte in questa ristrutturazione. Ad eccezione dei due prepensionamenti, è quanto meno dubbia e certo alquanto poco etica la decisione di licenziare collaboratrici impiegate a tempo parziale e con figli a carico. E lo è ancor meno sollevare dal proprio incarico persone alle prese con problemi di salute che seppure non ne impediscono totalmente l’abilità lavorativa, certamente la condizionano”.
E punta il dito anche sugli investimenti di poco tempo fa: “Non pochi gli elementi di questa triste situazione che lasciano perplessi. Innanzi tutto la tempistica e le motivazioni. Di recente sono stati investiti parecchi soldi per rinnovare alcune infrastrutture, una scelta strategica certo legittima, ma inevitabile porsi qualche domanda. Quei soldi non si potevano usare per salvare gli impieghi? Lecito obbiettare che le conseguenze sui collaboratori non siano allora giustificate. Anche sulle modalità sorgono dubbi. Perché attuare una ristrutturazione così penalizzante per i collaboratori quando vi era margine per proporre un piano alternativo che portasse comunque ad un risparmio puntando sulla pianificazione di prepensionamenti ed evitando di licenziare personale? Un piano che purtroppo non si è voluto discutere”.