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02.11.15 - 17:300
Aggiornamento: 19.06.18 - 15:43

Giancarlo Camolese, la luganighetta e una nuova esperienza

Il nuovo allenatore del Chiasso racconta i primi giorni, la sua voglia di plasmare finalmente una squadra che sia sua, e il primo impatto con la nuova realtà. «Diversa, ma non per forza migliore o peggiore»

CHIASSO - Schemi, giro palla, calci da fermo: Giancarlo Camolese non trascura nulla. Sul campo principale, spiega con calma ai suoi giocatori, sotto l'occhio attento di alcuni tifosi. Oggi il tecnico italiano vivrà la sua prima trasferta sulla panchina rossoblù, e in una decina di giorni si sta calando nella nuova mentalità. Tanto da rispondere, con un sorriso, ad una simpatica intervista del sito ufficiale del Chiasso, di preferire la luganighetta alla pizza e la gazzosa al mandarino alla Coca Cola.Mister Camolese, qui a Chiasso ha trovato una realtà diversa da quella italiana: lì i tifosi non possono stare a contatto coi giocatori... positivo o negativo?«La squadra è un patrimonio di tutti, e mi fa piacere che la gente venga a vederci allenare. Questa mattina ero in giro per Chiasso e in parecchi mi hanno fermato. Come in tutto il mondo, vogliono vincere e se non succede brontolano, giusto così. Sono situazioni diverse rispetto all'Italia, ci sono meno pressioni e io mi devo calare in questa nuova mentalità. Non è detto che sia meglio o peggio, solo diversa. E i tifosi possono constatare che facciamo lavorare la squadra... ».Parlava di realtà diverse, si è già fatto un'idea della Svizzera? I rapporti con l'Italia, al momento, sono un po' tesi.«Non ho ancora avuto modo di fare il turista, perché ho dedicato tutto il tempo libero a studiare squadra e avversari, anche se ho già chiesto informazioni ai miei collaboratori perché vorrei girare un po' la zona. Per quanto riguarda il calcio, i giocatori danno sempre tutto e c'è molto agonismo. Sul tema società è troppo presto per esprimermi, a mio modo di vedere comunque le diversità sono un'opportunità e non devono essere barriere».Torniamo dunque alla squadra. Non è un mistero che lei era stato contattato già tempo fa, il Chiasso era scritto nel suo destino?«Non penso di fare un torto a nessuno dicendo che mi avevano cercato. Dissi di no, in quel momento, perché ritenevo che servisse un tecnico che conoscesse meglio il calcio svizzero, dato che c'erano poche partite e tutte ravvicinate. Questo dimostra che non sono in cerca di contratti, e anche poi seguendo in modo saltuario la squadra non era per un secondo fine».Lei ha preso spesso squadre in corsa, salvandole da situazioni difficili.«E se devo essere sincero, mi sono anche un po' stufato! Se inizi dal ritiro, tutto va più fluido, hai più tempo per conoscerti, invece a campionato in corso devi fare tutto più in fretta. Ho scelto Chiasso anche perché il campionato è particolare, fra qualche tempo si ferma e potrò valutare se apportare delle modifiche o continuare così. Vedremo il mio Chiasso da gennaio? Non so, questa squadra è costruita per giocare in un certo modo e dunque lo useremo, io aggiungerò man mano delle cose senza mai togliere».Di cosa si occupava quando non aveva un contratto?«Non ho avuto tempo di annoiarmi... facevo l'opinionista per Mediaset e collaboravo come formatore per la federazione italiana. Non ho mai pensato di fare il dirigente, una volta smesso, come Fabio Galante che ritrovo qui a Chiasso. Sono laureato in scienze motorie, e mi piace molto occuparmi di settori giovanili, dove puoi veramente far migliorare i ragazzi, sia singolarmente che come squadra. La vita poi mi ha portato ad allenare più sovente prime squadre, e anche lì l'ambizione massima è che un domani i giocatori possano dire di aver ricevuto qualcosa da me».A chi le dice che gli allenatori italiani in Svizzera falliscono spesso, cosa risponde?«Che gli allenatori sono dei professionisti che colgono delle opportunità. Ci sono francesi che vanno in Italia, portoghesi in Inghilterra, italiani che vanno all'estero e poi c'è Camolese che è felice di allenare il Chiasso, di fare questa prima esperienza fuori dall'Italia».
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