di Laura Riget*
Di primo acchito, gli obiettivi dichiarati dalla mozione di Sergio Morisoli “Benessere e malessere sociale: riformare il “Welfare State” ticinese” potrebbero pure sembrare condivisibili. Si parla di analizzare – sia sul presente che sul futuro – il benessere e malessere sociale nel nostro paese, ampliando lo sguardo rispetto a singole riforme specifiche in un ambito e coinvolgendo esperti da tutti i settori.
Leggendo però in maniera più dettagliata, in particolare la seconda richiesta, vediamo che i mozionanti non vogliono limitarsi ad un’analisi oggettiva, ma perseguono chiare finalità ideologiche.
Si vuole riformare lo stato sociale del Canton Ticino puntando a:
- Sfoltire le leggi e le ridondanze tra le leggi
- Introdurre leggi sociali con data di scadenza
- Riequilibrare diritti e doveri dei beneficiari, nonché ridefinire i target dei beneficiari
- Implementare la sussidiarietà
Tradotto dal politichese? La mozione chiede meno aiuti sociali; per meno persone; scaricando i costi ad associazioni, privati e poi se del caso ai comuni.
Finalità che non possono lasciarci sorpresi considerando l’origine della proposta: da anni Sergio Morisoli ha reso i tagli nel sociale il suo cavallo di battaglia, tant’è che tra poche settimane voteremo anche sul suo Decreto Morisoli, che vuole ampliare queste proposte di tagli a tutti gli ambiti di gestione pubblica, non limitandosi più unicamente alla socialità, ma colpendo anche la formazione, i trasporti pubblici, la sicurezza e molto altro.
Parole d’ordine: austerità, neoliberismo e meno Stato. O ancora meglio, niente Stato del tutto. Anche nella mozione in questione, si legge – apro la citazione – “che lo stato sociale è in crisi un po’ ovunque perché col passare del tempo il sano principio della solidarietà trasversale dal basso si è snaturato diventando un unico principio imposto dall’alto: quello della socialità statale.”.
Per Morisoli lo stato sociale è in crisi perché se ne occupa lo stato, e non lascia compiti fondamentali come gli aiuti sociali per le persone in difficoltà, la formazione delle future generazioni e probabilmente anche la sicurezza degli individui in mano a privati senza alcun controllo da parte della collettività e ovviamente secondo il principio “chi paga decide”.
Questo approccio dogmatico dell’austerità è particolarmente incomprensibile in questo momento storico: siamo appena usciti da una pandemia e all’orizzonte si stanno profilando nuove difficoltà con il rincaro energetico e l’inflazione in seguito alla guerra in Ucraina. Oltre a ciò, il Ticino dovrà nei prossimi decenni affrontare sfide epocali come l’invecchiamento della popolazione, la fuga dei cervelli, il cambiamento climatico e la precarizzazione del mercato del lavoro.
Per questo motivo, come Partito Socialista Ticino non abbiamo dubbi: questa mozione – come pure il decreto sul quale votiamo il 15 maggio – sono da respingere!
*copresidente Partito Socialista