di Filippo Lombardi e Giovanni Merlini*
Abbiamo detto e ci teniamo a ribadire che vogliamo rappresentare insieme il Ticino al Consiglio degli Sati. Non solo per l’amicizia ed il rispetto che ci legano, ma perché convinti che i prossimi anni saranno decisivi per il ruolo del Ticino a Berna e della Svizzera nel mondo.
Se da un lato siamo fieri di quanto realizzato dal nostro Paese non solo per orgoglio nazionale ma proprio perché ciò garantisce ai Ticinesi e agli Svizzeri un benessere che molti ci invidiano, dall’altro dobbiamo svegliarci e sentire i campanelli d’allarme che si fanno sempre più forti.
La Svizzera è scivolata dal primo al quinto posto dell’indice mondiale della competitività allestito dal WEF. Nell’indice della competitività digitale – decisiva per il futuro – è addirittura al decimo posto, pur avendo buone infrastrutture, ottimi Politecnici, il computer più potente in Europa e terzo al mondo (al CSCS di Lugano!). Ci mancano gravemente la formazione di base e di qualità, l’innovazione digitale delle imprese e delle amministrazioni pubbliche. Per contro, la giungla delle leggi e regolamentazioni burocratiche continua ad infittirsi e ci trascina verso il basso.
Dobbiamo combattere tanto il pessimismo generale diffuso dalle forze politiche che polarizzano la Svizzera, quanto l’autocompiacimento di chi crede che si possa sonnecchiare perché “tutto va per il meglio nel migliore dei mondi”. Ovvero che, siccome si è sempre fatto così, basta andare avanti così.
I segnali di rallentamento dell’economia mondiale ed europea non possono lasciare indifferente la Svizzera. Siamo un paese senza risorse naturali e senza sbocchi sul mare, che deve il suo benessere solo alla qualità del suo lavoro e allo scambio con l’estero di beni e servizi competitivi.
Il rallentamento degli altri rallenterà anche noi, e se perdiamo competitività punirà più noi che gli altri. Per questo non possiamo rallentare ma dobbiamo anzi incentivare la formazione dei nostri giovani, l’aggiornamento delle nostre infrastrutture, l’innovazione aziendale e pubblica, l’interscambio con l’estero. Ben vengano in tal senso i trattati di libero scambio con paesi lontani che facilitano le nostre esportazioni, senza dimenticare che il nostro primo partner commerciale rimane l’Unione Europea, e che per continuare a trarne beneficio senza doverne far parte l’unica soluzione è la via bilaterale.
Fra l’altro, noi importiamo dall’Europa in proporzione più beni di consumo, e ce li possiamo pagare esportando in paesi lontani più beni di investimento, che vanno prodotti con una manodopera che spesso ci viene dall’estero, avendo una disoccupazione ai minimi storici. L’interdipendenza è altissima e il “sistema paese” svizzero vive di equilibri interni ed esterni delicati, e va difeso per il benessere di tutti
Al tempo stesso va però riformato. Il libro “Was wäre, wenn…?” (Cosa succederebbe, se…?) pubblicato due settimane fa da Avenir Suisse contiene 13 scenari provocatori di ciò che potrebbe succedere alla Svizzera se non si svegliasse dal torpore attuale, raggruppando le risposte in tre grandi capitoli:
- anticipare con intelligenza le tendenze globali;
- gestire l’invecchiamento della società e vincere la sfida dell’innovazione digitale;
- combattere le tendenze illiberali che vorrebbero ingabbiarci (la metà delle iniziative popolari in corso chiede proibizioni e restrizioni, come se non bastasse la tendenza naturale di politici e funzionari, per quanto ben intenzionati…).
Trovandosi ai margini geografici ed economici della Confederazione, il Ticino ha due priorità. In primis non perdere l’aggancio con una Svizzera che cambia rapidamente, anzi se possibile anticiparla grazie alla nostra creatività e flessibilità. In secondo luogo far capire le sue difficoltà e ottenere da Berna delle misure specifiche per:
- tutelare (con severe misure di accompagnamento, controlli maggiorati, contratti collettivi e normali, collaborazione tripartita) il suo mercato del lavoro duramente confrontato alla disastrata situazione italiana;
- garantire la sicurezza alla sua frontiera, che è il fianco Sud della Svizzera, tanto dalla criminalità transfrontaliera quanto da un’immigrazione clandestina che è il triste risultato non solo di guerre e catastrofi ambientali, ma purtroppo anche del più lucrativo commercio illegale del mondo, quella appunto della migrazione, che supera di gran lunga quello di droga, armi e prostituzione secondo le stime dell’ONU;
- difendere l’italianità come un fattore di identità e di cultura che non può assolutamente penalizzare chi cerca un lavoro oltralpe, nel pubblico come nel privato;
- proteggersi dai costi sociali di un invecchiamento superiore alla media svizzera, anche perché un numero non indifferente di Confederati vi si ritira in pensione.
Sappiamo che un numero crescente di Ticinesi teme per il proprio posto di lavoro e relativo livello salariale, per le pensioni, per la sicurezza, per l’ambiente. A questi Ticinesi vogliamo dare delle risposte di speranza e non di chiusura o di paura. Il miglior modo di prevedere il futuro è di costruirlo. Svegliamoci, per costruire insieme il futuro del Ticino e della Svizzera!
*Candidati al Consiglio degli Stati