di Sem Genini *
I promotori dell’iniziativa denunciano che in Svizzera gli animali da reddito sono considerati come oggetti. La
legislazione svizzera definisce il benessere degli animali come composto da 5 libertà: libertà dalla fame e
dalla sete; dallo stress fisico; dal dolore, dalle ferite e dalle malattie; dalla paura e dal pericolo; libertà di
poter mostrare il comportamento normale conforme alla specie. Le norme svizzere sono quindi stabilite su
questi aspetti precisi e essi sono implementati già per gli standard minimi. Ecco perché il mondo agricolo si
indigna per questa iniziativa: perché presenta all’opinione pubblica un’immagine distorta del nostro lavoro
e della nostra realtà per cercare di far approvare qualcosa che è ingannevole fin dal titolo.
La sinistra che esternalizza
Per lungo tempo la sinistra ha denunciato l’esternalizzazione, ovvero il trasferire all’estero ciò che non
vogliamo sul nostro territorio. È illusorio ed ipocrita, dicevano, perché le conseguenze vanno considerate
nella loro interezza e non a compartimenti stagni. Così, trasferire una fabbrica inquinante in una nazione
dalle leggi ambientali meno severe permette sì di dire che si sono ridotte le emissioni svizzere, ma
peggiorando la situazione complessiva. Eppure ha una sua attrattiva e la riprova sono le argomentazioni dei
sostenitori dell’iniziativa che fanno presagire proprio un tale scenario: ridurre le emissioni in Svizzera
diminuendo il numero di animali da reddito che verranno però allevati in altre nazioni, con norme meno
severe sia per quanto riguarda il loro benessere che il loro impatto ambientale. Non va dimenticato che
l’iniziativa prevede di implementare solo le norme sul benessere degli animali di Bio Suisse 2018. Per ora,
almeno. Parleremmo di tattica del salame ma siamo certi che gli iniziativisti aggiungerebbero “di seitan”, più in linea
con i loro scopi.
La ghigliottina delle illusioni
Perché a detta degli iniziativisti stessi applicare i medesimi requisiti alle nostre importazioni di derrate
alimentari di origine animale (non solo carne, latte e uova ma anche alimenti che li contengono, dai
prodotti da forno ai dolci) è un pilastro centrale. Un pilastro che non sarà in grado di sostenere questo loro
ingombrante tendone argomentativo di fronte ai venti della realtà. È lo stesso Consiglio Federale a dire che,
se l’iniziativa passasse, la Svizzera “non sarebbe più in grado di ottemperare i suoi obblighi internazionali”.
Questa frase una volta avrebbe fatto urlare di orrore la sinistra internazionalista e responsabile, quella che
ama ricordare, per esempio, che la Svizzera non può imporre niente all’Unione Europea perché attiverebbe
la clausola ghigliottina. Clausola ghigliottina che verrebbe attivata se la Svizzera mettesse in discussione un
accordo parte del pacchetto dei Bilaterali I come ad esempio… l’Accordo agricolo del 1991. Senza
dimenticare tutti gli altri accordi commerciali con nazioni come Brasile, USA, Cina. Ovviamente gli
iniziativisti potrebbero chiedere di rinegoziare questi accordi: cosa daremo in cambio? Accetteremo
condizioni svantaggiose per altri settori della nostra economia? E quali?
Costi maggiori per le famiglie e l’economia
Gli iniziativisti dicono che i costi maggiori per le famiglie svizzere sarebbero giustificati (aggiungendo che
comunque basterebbe consumare meno prodotti parzialmente o completamente di origine animale). Le
stime sono chiare, in media i costi mensili aumenterebbero di 180 CHF. Ovviamente l’impatto avrebbe
ripercussioni su tutti i livelli: non solo per il mondo agricolo ma anche per la ristorazione, il turismo, il
commercio al dettaglio e via dicendo. Una grossa perdita anche di posti di lavoro. La produzione svizzera
diminuirebbe a beneficio di quella estera con una regressione per quello che riguarda il benessere degli
animali.
Il silenzio costituzionale
Perché scrivere un’iniziativa così problematica? Davvero punta solo ad aumentare il benessere degli animali
da reddito? Il sospetto è che le contraddizioni, i buchi e le conseguenze nefaste per produttori e
consumatori svizzeri siano stati attentamente vagliati da iniziativisti e sostenitori. E giudicati accettabili. Ma
non si tratterebbe solo di perdere, ma “dare un messaggio”: la strategia è di sfruttare un linguaggio
fortemente emotivo e privo di contesto (dopotutto, a loro non importa che la Svizzera sia già
all’avanguardia perché “non guardiamo a chi fa peggio”) per vincere. Il nuovo articolo costituzionale che
sostituirebbe il precedente offrirebbe la base per smantellare, passo dopo passo, l’allevamento di animali
da reddito in Svizzera ed il consumo, tramite importazione, di prodotti alimentari di origine animale
(quest’ultimo è infatti oggetto del comma 4 proposto). Perché una volta inserito nella Costituzione Federale
che l’allevamento intensivo è ciò che gli iniziativisti affermano oggi, domani proporranno sempre nuove
aggiunte a questo articolo fino a quando non diranno che “l’allevamento degli animali a scopi alimentari
lede il loro benessere. È quindi intensivo. È quindi vietato come prevede la Costituzione”.
* Segretario Unione contadini ticinesi