*Di Piero Marchesi
Chi almeno una volta nella vita ha visitato un’azienda agricola e di allevamento in Svizzera avrà certamente apprezzato la qualità con cui vengono trattati gli animali e soprattutto, mai si sarà imbattuto in allevamenti intensivi, semplicemente perché non esistono. Gli standard che i nostri allevatori sono tenuti a rispettare sono elevatissimi, a riprova che la Svizzera – anche in questo ambito – ha anticipato i tempi puntando sulla qualità dell’allevamento piuttosto che sulla quantità.
Il prossimo 25 settembre il popolo svizzero sarà chiamato a esprimersi sull’iniziativa “No all’allevamento intensivo in Svizzera” che di fatto pone un tema già risolto da tempo dalle leggi in vigore. Beneficiamo di una protezione degli animali unica a livello mondiale, che prevede un numero limitato di capi per azienda per galline, maiali e vitelli. Siamo in presenza di incentivi molto efficaci per le stalle particolarmente rispettose degli animali e per le loro regolari uscite all’aperto. Il sistema di controlli è molto rigoroso e il consumatore può beneficiare di un’ampia offerta di marchi.
E allora perché rendere il quadro legislativo ancora più rigido, con regole che si rivelerebbero addirittura controproducenti per produttori e consumatori? Questa è la domanda che dovrebbero porsi le cittadine e i cittadini chiamati al voto, affinché con un chiaro No possano confermare la legge attuale, evitando ancora una volta, di fungere da primi della classe. Gli standard definiti dall’iniziativa esistono già nell’offerta Bio e in altri prodotti con marchi di benessere animale. Chi desidera prodotti di origine animale di questo tipo li trova facilmente nei negozi. L'iniziativa è quindi inutile e controproducente perché comporterebbe invece la perdita della libertà di scelta, perché la carne, il latte, il formaggio o le uova sarebbero reperibili soltanto nella qualità e nel prezzo del Bio.
Con l’accoglimento dell’iniziativa si verificherebbe sicuramente un aumento generale dei prezzi, perché sugli scaffali dei negozi troveremmo solo prodotti Bio, notoriamente più cari. Assisteremmo a una riduzione della produzione nazionale perché non tutte le aziende potranno far fronte alle nuove esigenze che richiederanno aumenti delle dimensioni delle fattorie, o più verosimilmente la diminuzione del numero di animali. E infine, il conseguente aumento delle importazioni di prodotti che in un modo o nell’altro dovranno soddisfare la domanda della popolazione. Non sarà certamente la piccola Svizzera a imporre gli standard Bio ai produttori di carne del Sud America e ai produttori di uova dei paesi più remoti, ma importeremo quello che passa al convento, peggiorando di fatto la qualità dei prodotti a nostra disposizione.
La scelta alle urne è fin troppo chiara: o votare No e confermare la fiducia al settore agricolo e d’allevamento che offre prodotti di qualità nel pieno rispetto degli animali, oppure avallare l’ennesima proposta ideologica formulata da chi non ha mai messo piede in un allevamento in Svizzera e che vuole insegnare il mestiere a chi ogni giorno lavora e si impegna per offrirci prodotti di assoluta qualità sulle nostre tavole.
*Consigliere nazionale UDC