di Tiziano Galeazzi*
Come ogni anno, entro fine giugno, bisognerà decidere il destino dell’assegno plurimilionario (anno contabile 2018) sui ristorni da bonificare allo Stato italiano.
La differenza però quest’anno, è che siamo nel bel mezzo del rinnovo dei poteri cantonali e, secondo la logica, il Governo uscente non si azzarderà a prendere una decisone, ma lascerà alla prossima compagine governativa l’onere di decidere.
Intanto da parte italiana ovviamente si fa orecchio da mercante, con la scusa che a maggio ci saranno le elezioni europee e quindi nessuno a Roma, come negli ultimi quattro anni, avrà alcun interesse a sottoscrivere l’accordo parafato con la Svizzera nel 2015. Ancora una volta restiamo orfani di un nuovo accordo bilaterale sulla questione fiscale, come pure di quel fumoso allegato dal nome “roadmap”. Quest’ultimo, val la pena ricordare, conteneva tra l'altro una preziosissima clausola riguardante l’apertura del mercato italiano al settore dei prodotti finanziari e della operatività diretta di banche e fiduciarie svizzere.
Un tema che ovviamente scotta, e non poco. Il sistema finanziario italiano si ritroverebbe la concorrenza svizzera sul proprio territorio. Ricordiamo che noi, in cambio di questo mancato accordo, abbiamo consegnato i dati dei clienti azzurri su richiesta, in una prima fase, (un gesto unilaterale di buona volontà alla "fatebenefratelli") e in seconda fase con lo scambio automatico d’informazioni secondo gli standard OCSE.
Cosa abbiamo portato a casa? Nulla e così anche sulla fiscalità della manodopera transfrontaliera operante nel nostro Cantone. Per questo che ancor oggi, nel 2019, ci ritroviamo con un accordo bilaterale datato 1974 e non 2015, come dovrebbe essere, e la conseguenza nelle nostre casse cantonali è un ammanco annuale di ca. 15 milioni di franchetti.
A questo punto al prossimo Governo ticinese, che uscirà dalle urne ad aprile, non resta che prendere una semplice decisione: o pagare tranquillamente e sperare che nei prossimi 20 anni si arrivi ad ottenere un risultato da Roma, oppure ritornare a far pressione sui ristorni, congelandoli su un conto della Banca Stato della Repubblica del Catone Ticino, fin tanto che Roma non firmerà l’accordo del 2015. (vedi mia mozione 1334 depositata lo scorso 10 dicembre: https://www4.ti.ch/user_librerie/php/GC/allegato.php?allid=126420)
Ultimamente, per grazia ricevuta, l’attuale Consiglio di Stato si è messo di “traverso” sulla consultazione intercantonale, riguardante l’accordo quadro con l’Unione Europea, rispondendo picche alla Berna federale e questo fa sperare che forse un cambiamento di mentalità sia in atto (lo vedremo dopo il 7 aprile).
Ci vorrebbe quindi un ulteriore atto di forza il prossimo giugno, affinché si possa mettere pressione sia a Berna che nella vicina Penisola.
Non dubito sui Consiglieri di Stato leghisti, ma son curioso di vedere gli altri membri dell’Esecutivo che faranno. Vi è solo d’augurarsi che il prossimo Governo ticinese dica ancora NO al versamento, ma questa volta con più convinzione rispetto ad alcuni anni fa, che durò un “battito d'ali di farfalla”, scomodando Berna e l’allora irritata Consigliera federale Eveline Widmer-Schlupf, complice dei disastri creati nel mondo bancario svizzero e madrina di questo accordo fallimentare fino ad oggi.
*Deputato UDC uscente, candidato nr 30 lista 16