*Di Jean-Jacques Aeschlimann
"Sono arrivato qui a 21 anni, senza un soldo, e guarda dove sono arrivato: se ce l’ho fatta io, possono farcela tutti". Così la pensava Arnold Schwarzenegger, prima di visitare i quartieri degradati delle grandi metropoli degli Stati Uniti. Toccando con mano la vera disperazione giovanile, si rese conto che lui – sull’aereo per lasciare l’Europa, nel 1968 – aveva con sé un bagaglio ben più prezioso del denaro.
I suoi genitori gli avevano insegnato la disciplina, aveva avuto un’educazione pubblica di qualità e, dopo la scuola, allenatori che lo avevano ispirato con il loro esempio, motivandolo a fare meglio: «I ragazzini di quelle periferie, invece, erano sempre e solo stati trattati da losers, e crescevano con l’idea che per loro non valeva nemmeno la pena di provarci».
La Svizzera e il Ticino non sono la periferia di Los Angeles, certo, ma faremmo bene a limitare il nostro autocompiacimento. Il 2021, infatti, ha fatto segnare nel nostro Paese il nuovo record di ospedalizzazioni giovanili per problemi di salute mentale.
Questo primato è tristissimo ma tutt’altro che casuale, se si conoscono le statistiche su stress, ansia, paura, depressioni, suicidi e violenza (quella fisica ma anche quella verbale, sui social). La nostra vita di tutti giorni, insomma, mostra chiaramente che i nostri giovani stanno male.
Per riflettere con onestà su questi problemi, un primo passo è ammettere che crescere oggi è ben più difficile, rispetto anche solo a 20 anni fa. Non si tratta solo di incertezza sul mercato del lavoro, e delle nostre attese sempre più elevate sulle loro prestazioni scolastiche. Fra allarmi per il clima, panico energetico e guerra, le nuove generazioni vivono immerse in un clima di sfiducia nel futuro.
E poi, c’è l’elefante nella stanza, ossia il modo in cui noi adulti abbiamo gestito la pandemia, con restrizioni che hanno colpito in modo sproporzionato i giovani. La verità è che abbiamo preso molto, troppo alla leggera le conseguenze dell’isolamento prolungato – convincendoci che, in fondo, «che male potranno mai fare ai nostri figli alcune settimane in casa? E poi, possono comunque scriversi o fare una videochat con i loro amici!». La realtà ci sta presentando il conto di quelle semplificazioni – ed è un conto molto, molto salato.
Prendiamo l’uso del tempo libero. Una recente ricerca dell’Ufficio federale dello sport conferma l’ovvio: i giovani fanno meno attività fisica di prima della pandemia, soprattutto in Ticino e in Romandia. Oltre allo sport, sono in perdita di gradimento anche le altre attività ricreative strutturate; quelle che permettono ai giovani di imparare a socializzare, mettendo in pratica i valori che sono alla base della convivenza civile.
Questo tempo, rimasto vuoto, è stato occupato da alternative ben peggiori. I social media hanno scatenato tutto il loro potenziale tossico, con le malsane regole che dettano alle interazioni umane. I videogiochi – da piacevole evasione – si sono trasformati in una vera prigione per molti giovani socialmente isolati.
La politica ha il dovere di dare risposte, non fosse che per rimediare ai danni provocati con le restrizioni pandemiche. Servono urgentemente spazi pubblici e offerte ricreative facilmente accessibili. Dobbiamo dare ai giovani gli strumenti per vivere insieme gli anni dello sviluppo personale, sperimentando in sicurezza la loro creatività e il bisogno di superare i limiti, accompagnati da persone che siano di riferimento e di ispirazione.
Arnold Schwarzenegger mise a frutto quel che aveva visto nelle periferie degradate, prima ancora di diventare Governatore della California. Nel 2002, uno dei suoi primi passi in politica fu un’iniziativa popolare, la «Proposition 49», che conteneva un ambiziosissimo programma di attività strutturate nel doposcuola. Se la politica ticinese insisterà nel mostrarsi disattenta verso i giovani, potrebbe valere la pena di imitare questo illustre esempio.
*Candidato PLR al Consiglio di Stato