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Cronaca
28.09.23 - 17:360

Ragazzini in fuga, c'è un problema? "Esiste un malessere. Collocamenti superficiali? No"

Si moltiplicano gli avvisi di scomparsa che riguardano giovanissimi dai 14 ai 17 anni, spesso da centri o cliniche. Marco Galli: "C'é un collegamento con l'aumento dei problemi relativi alla salute mentale. Per quanto concerne psichiatri e farmaci...

BELLINZONA – Ragazzini giovanissimi che scompaiono, facendo perdere le loro tracce, da soli o in gruppetti di due o tre, mandando comprensibilmente nel panico familiari e conoscenti, con il conseguente tam tam di condivisioni social per ritrovarli. E ogni volta quella domanda: da dove fuggono? Perché lo fanno? In diversi casi ci si accorge poi, anche se per privacy nei comunicati di Polizia non viene segnalato, che non si sono allontanati dalle proprie case ma da istituti o cliniche dove vengono collocati, per problematiche psicologiche o di livello familiare.

Per fortuna sinora le storie, seppur angosciose, sono sempre state a lieto fine, con un contro comunicato che annunciava il ritrovamento, spesso in Lombardia. Purtroppo però queste fughe, a volte più di una della stessa persona (c’è per esempio una ragazzina per cui gli agenti hanno diramato almeno tre avvisi di scomparsa in pochi mesi, da istituti diversi), sono troppi per essere considerati casi isolati e devono portare a interrogarsi. Ogni volta che accade, soprattutto se reiterato, chi condivide chiede se non si può fare qualcosa per aiutare questi giovanissimi e le loro famiglie.

Abbiamo girato alcuni quesiti a Marco Galli, capo ufficio dell’Ufficio del sostegno a enti e attività per le famiglie e i giovani, della Divisione dell’azione sociale e delle famiglie del DSS.

Gli annunci di scomparsa legati a minorenni, solitamente attorno ai 14-17 anni, sono sempre più frequenti. È un fenomeno che vi preoccupa?

“Seppur riguardino poche situazioni (e per fortuna rientrate), il loro relativo aumento ci pone di fronte ad una manifestazione di malessere, in parte evidenziato durante la pandemia, in parte pre-esistente e legato da un lato a una maggiore fragilità famigliare e dall’altro a una difficile inclusione di alcuni giovani nella società e alla mancanza di prospettive per il loro futuro.  Queste nuove forme di disagio richiedono un nuovo approccio: tempestivo, multidisciplinare, professionale ecc. Nel nostro Cantone, abbiamo già avuto modo di mettere in campo soluzioni innovative (riconosciute anche a livello nazionale) e altre sono allo studio. Bisogna essere consapevoli, che a volte ci si trova confrontati a situazioni davvero complesse, dove nonostante tutti gli aiuti messi in campo, la situazione rimane complicata. La nostra sfida, nonché missione, è fare in modo che il numero di questi casi possa diminuire, grazie alle importanti misure messe in campo”.

Come possiamo leggerlo? La maggior parte di loro viene ritrovato in Lombardia, a volte sono fughe in compagnia. Si tratta di ‘bravate’ oppure fuggono da un disagio? È possibile che ci sia un fenomeno di emulazione?

“Sicuramente c’è anche un effetto di emulazione. In parte sono riconducibili a motivazioni di semplice “evasione” (spesso da amicizie o conoscenze), altre volte possono essere sintomo di un malessere più profondo. In tal senso, diverse ricerche comprovano l’aumento delle problematiche legate alla salute mentale delle persone, in particolare dei giovani vulnerabili”.

Parecchi di essi scappano da cliniche o centri protetti. Si tratta di un segnale d’allarme che dice che queste strutture non sono adeguate a livello infrastrutturale o di personale? Cosa si può eventualmente fare?

“In passato, quando un minorenne si allontanava senza permesso veniva dimesso. Negli ultimi quindici anni, i centri educativi per minorenni sono più resilienti e attrezzati a prendersi cura di queste giovani e questi giovani. Negli anni, gli organici dei centri sono stati rinforzati, sono state create diverse nuove strutture (i due CEM terapeutici Arco e Archetto), nonché attivati o rinforzati diversi servizi di accompagnamento educativo e di intervento d’urgenza. Il progetto di un centro educativo intensivo in modalità chiusa e semi-aperta deciso dal Gran Consiglio (al momento in fase di concettualizzazione) permetterà di rispondere a determinate situazioni di fuga, in quanto le strutture di protezione e le cliniche sono centri aperti, dove le fughe non possono essere scongiurate”.

Chi decide il collocamento dei giovani in questi centri e per quali motivi (problemi psicologici o legati al contesto familiare)? Non crede che attualmente si passi a questa misura in modo troppo semplice, senza prima tentare altre strade? Ovvero: possibile che i giovani abbiano così tanto bisogno di ricoveri e le famiglie non siano adeguate a garantire loro il sostegno?

“Le decisioni di affidamento a terzi (famiglie affidatarie e CEM) sono prese d’autorità o richieste dalle famiglie stesse con l’avvallo dei competenti servizi sociali. Un’apposita piattaforma multidisciplinare valuta i progetti d’affidamento e la loro pertinenza. Va detto che solitamente prima di giungere a un collocamento vengono messe in campo altre soluzioni di accompagnamento educativo. Alla luce di tali considerazioni, mi sento di escludere che gli affidamenti a terzi siano decisi con superficialità. Il lavoro di valutazione è stato anzi migliorato. Sempre più, nel limite del possibile, viene favorita anche la partecipazione della famiglia e del minore. A tal fine è stata organizzata una formazione specifica (Vivavoce) in collaborazione con la Supsi che sta dando riscontri positivi”.

Allargando il tema, sono sempre più i ragazzi vengono precocemente inviati da psichiatri e iniziano terapie farmacologiche. Ne hanno veramente necessità o si è eccessivamente attenti a ogni segnale, rischiando di ‘patologizzare’ fenomeni magari dovuti all’età o momentanei?

“Va precisato che si tratta di un fenomeno presente a livello internazionale e nazionale e che non riguarda quindi unicamente il nostro cantone o i ragazzi collocati. L’aumento dei problemi di salute mentale richiede risposte sempre più specialistiche e possibilmente precoci. La pianificazione socio-psichiatrica in tal senso, con la creazione di un apposito reparto di pedo-psichiatria, un day hospital e un servizio di home treatment, permetterà di fornire delle risposte adeguate per farsi carico in misura ancora più incisiva di queste situazioni. Importante è quindi intervenire precocemente ai primi segnali di malessere, in modo da evitare la cronicizzazione di determinate situazioni. La patologizzazione avviene piuttosto quando non si riesce ad intervenire precocemente o con strumenti adeguati”.

A suo avviso, in queste tendenze, che ruolo hanno famiglie e scuola?

 “Alcune famiglie presentano a loro volta delle vulnerabilità e vanno aiutate rinforzandone le competenze genitoriali con interventi di formazione, consulenza e accompagnamento oppure con delle soluzioni di collocamento a terzi, nei casi più gravi. In tal senso, sempre più i centri educativi lavorano in collaborazione con la famiglia che è considerata un partner decisivo. Anche la scuola si trova confrontata con un aumento delle situazioni “difficili” e si è dotata di strumenti di supporto educativo. Purtroppo, come detto, non sempre però è in grado di farsi carico di determinate situazioni e quindi in questi casi è importante poter lavorare assieme: autorità, servizi sociali, centri educativi, scuola e famiglie. In quest’ottica, un apposito tavolo di lavoro DSS-DECS voluto dal Consiglio di Stato sta elaborando delle proposte di soluzione o di ulteriore investigazione”.

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