ticinolibero
Cronaca
30.05.16 - 15:000
Aggiornamento: 21.01.22 - 14:40

«Mi chiedevano "perché" e mi sono vergognato. Ogni bambino può essere tuo figlio»

Giorgio Fonio racconta il viaggio fra i campi profughi della Grecia assieme a Dadò. Dai 700 pomodori portati a Sindos al gelato quasi rifiutato, «è un'esperienza che un politico dovrebbe fare»

BELLINZONA - Un viaggio in mezzo alla disperazione per toccare con mano una realtà inimmaginabile. Giorgio Fonio è stato in Grecia, nei campi profughi, e mentre racconta nella sua voce si colgono mille emozioni condensate nei pochi giorni che ha vissuto tra gli altri assieme al collega di partito Fiorenzo Dadò. «Abbiamo visto qualcosa di inimmaginabile come drammaticità e condizioni umane. Siamo abituati a vedere queste immagini alla tv o sui social, e la sensazione è sempre che tutto sia molto lontano da casa, invece ti rendi conto che per raggiungere questi campi ci metti meno che ad andare a Ginevra in treno da Chiasso. La località turistica è bellissima, c'è un mare splendido eppure a poca distanza si è scatenato l'inferno.Con che aspettative è partito per questo viaggio?«Quando affronti un viaggio così non hai aspettative, non hai la consapevolezza di cosa incontrerai perché quello che sai è ciò che ti raccontano. Per esempio, avevano appena sgomberato il campo di Idomeni e ci chiedevano perché ci andassimo lo stesso, l'immagine percepita diceva che il problema era risolto. In realtà non sono più a Idomeni ma sparpagliati in vari campi governativi, senza acqua potabile. A Sindos per 620 persone ci sono 18 toy toy! Queste persone sono solo state trasferite perché Idomeni stava diventando il simbolo di una vergogna, non si poteva pensare che esistessero campi del genere. Io ne ho visto uno a Eko Camp, una stazione di servizio simile a quella che c'è fra Como e Milano, con 2000 persone stipate in tende, con condizioni igieniche drammatiche. Per fare la doccia devono pagare 2 euro... ma stanno finendo i soldi! Impressionante è la marea di bambini, il più piccolo aveva 10 giorni... In un altro campo abbiamo incontrato una famiglia con una bambina di due mesi nata prematura, l'unica assistenza che riceve è delle ostetriche di un'associazione: da noi i prematuri stanno in incubatrice, lei vive in una tenda a lato di una pompa di benzina».Lei è padre di due bambini piccoli, ha ingigantito le emozioni? E cosa prova ora?«Probabilmente ha influenzato, vivi delle fasi di immedesimazione e pensi che ogni bambino può essere il tuo. Il secondo giorno è stato il più duro. Quello che vedi esce piano piano quando torni a casa, ci sono delle emozioni forti che ho provato. Mi sono fermato in una tenda a parlare con una mamma e un papà che sono scappati dalla Siria con due bambini di 10 mesi e due anni e i nonni, 70 e 75 anni. Hanno Facebook, prima di partire erano una famiglia normale, anche benestante, con un lavoro e una casa, e mi hanno chiesto "perché? Dov'è l'umanità? Piuttosto torniamo in Siria con la quasi certezza di morire", e ho vissuto un sentimento di vergogna perché ho capito di essere parte di un sistema che non riesce a rispondere ai reali bisogni di queste persone. Sono dei migranti che hanno la possibilità di accedere agli aiuti delle nazioni, scappano dalla guerra disperati, e invece da tre mesi sono abbandonati in una stazione di servizio. E questo in un paese membro dell'UE. Oltretutto, lo sgomberi come quelli avvenuti a Idomeni aggiungono ulteriore shock».Perché, come avvengono?«Prima li affamano, bloccando gli aiuti umanitari. Poi arrivano con 400 poliziotti in tenuta anti sommossa, li prendono e li sgombrano. A volte dividono le famiglie, caricando i membri su bus diversi e facendo loro credere che si ritroveranno. Sono persone pacifiche, che chiedono solo aiuto, non c'è bisogno di usare la forza. Noi siamo veramente uguali a loro, bisogna immaginarsi che oggi arrivi la guerra in Ticino e noi dobbiamo scappare... sono ingegneri, dottori, architetti, in Siria avevano le loro attività, una loro vita. Si può fare la similitudine con i rifugiati degli anni '90 dai paesi balcanici». C'è una storia che l'ha colpita particolarmente? «Ho creato un legame di amicizia con un ragazzino di 12 anni, Nour (con lui nella foto). Quando arrivi ti prometti di non lasciarti travolgere dalle emozioni, lui invece si è avvicinato e abbiamo cominciato a parlare. Ha imparato il tedesco parlando con le volontarie in tre mesi, è scappato con la mamma, la sorella di 18 anni e il fratello di 14 mentre il papà è morto in un bombardamento. Ha un'educazione incredibile... Continuavo a offrirgli un gelato, rifiutava sempre, poi gli ho detto che se un amico non accetta un regalo da noi è una brutta cosa. Invece la dinamica era un'altra, ed è drammatica: dando un gelato a lui lo metti in pericolo perché ha qualcosa che altri bambini non hanno, calcolando che si vive una situazione di fame. Quando abbiamo preso i gelati è arrivato il suo amico, arrabbiato perché non l'aveva. Gli ho dato il mio, e lui non voleva perché a quel punto restavo senza io: nessuno dei due lo voleva più! Allora ho finto di andare in bagno... Lo stesso accade quando arrivano i volontari coi giochi, è il caos, tutti si fiondano sulle auto. Mi veniva voglia di portare a casa questo bambino, assolutamente!»Come ticinesi e persone "civili", che cosa possiamo fare?«Nel nostro piccolo possiamo sostenere tutte le ONG che si impegnano sul campo, tutti ragazzi giovani. Mi ha colpito un'associazione di donne italiana, fanno il lavoro che spetterebbe ai governi. Hanno creato una nursery, cose che in Europa gestisce lo Stato. Ci sono degli spagnoli che prendono frutta e verdura, abbiamo donato loro soldi, così come ad un'altra associazione che porta banane e ad una tedesca che prepara la colazione. Inoltre abbiamo lasciato 400 euro per far la doccia, comprando i gettoni. A Sindos siamo andati alla LIDL, rischiando di essere buttati fuori, e abbiamo preso 700 pomodori, tutta la loro scorta. Il ticinese può sostenere le associazioni, in particolare penso a quella di Lisa Bosia, Firdaus, che si occupa concretamente di portare gli aiuti: abbiamo raccolto 100 e 100 è stato usato per i migranti. Al 15 giugno partirà un altro gruppo».Questa esperienza cambierà il suo modo di intendere il lavoro parlamentare?«Vedere queste cose ti fa capire come da noi certi problemi vengono ingigantiti. C'è chi sta in maniera oggettiva peggio di noi, non bisogna ovviamente dividere i problemi in difficoltà di serie A o di B, ma dopo aver visto una situazione del genere la scala dei valori e delle priorità cambia. Dobbiamo essere felici, e riconoscerlo, di essere nati nel paese in cui siamo. Probabilmente chi fa politica deve fare un'esperienza del genere, ti fa capire di che cosa stai parlando».
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