Cronaca
30.04.17 - 09:310
Aggiornamento: 21.06.18 - 14:17
Nash, "il momento più duro è stato dirlo ai miei, temevo potessero star male. Ma arrivi a un momento in cui puoi rischiare di perdere tutto però devi cominciare il percorso"
Il transgender Nash Pettinaroli si racconta. "Non mi piaceva i vestiti da bambina, e quella volta in cui mi regalarono un set di trucco... La transessualità non è una malattia ma una sofferenza"
AGNO – Questa settimana, il tema transgender è stato al centro dell’attenzione mediatica, a partire da un duro articolo di Andrea Leoni su liberatv. A rispondergli, il primo transgender presidente di un Consiglio comunale, Nash Pettinaroli (ad Agno, per la Lega), che ci ha raccontato a cuore aperto e con grande umanità la sua storia.
Si sta parlando molto della questione, secondo lei è positivo?“In ogni caso è un bene. Sono quelle cose che tutti sanno che esistono e dicono di conoscere per sentito dire, ma è come se ne parlasse nel sottobosco. Secondo me è positivo per chiarire le idee alle persone, c’è chi confonde i transessuali con le drag queen, immaginandosi persone appariscenti e estroverse che si distinguono dalla massa. Io, invece, non lo sono, e spesso se uno non conosce la mia storia non se ne accorge. I pregiudizi? A me non è mai successo niente di male, non ho mai avuto episodi di cattivo gusto. Di certo si vede la transessualità come una perversione, ma non lo è. Fa paura, può essere, come ogni cosa che non si conosce. Non voglio sia associato a una malattia. L’altra sera durante Bazzi tuoi la sessuologa ha detto che lo è, vorrei specificare nel Manuale Diagnostico dei Disturbi mentale è una disforia di genere, non più un disturbo della sessualità. Non è una malattia, bensì una sofferenza, una condizione che porta a soffrire, soprattutto socialmente che fisicamente”.
Si sente portavoce della categoria?“Da qualche giorno a dire il vero sì. Ho ricevuto messaggi privati in Facebook di gente che vorrebbe fare il percorso, sta pensando di farlo o lo sta facendo, e mi hanno ringraziato dell’esposizione che ho fatto della mia persona. Quindi ora mi sento portavoce, prima non ci avevo mai pensato”.
Ci racconta la sua storia?“Io nasco donna nel 1983. Mia mamma mi veste da bambina, come giusto che sia. A me non è mai andato più di tanto, ma potevano essere considerati capricci da bambini. Poi verso i 14-15 anni ho avuto dei dubbi. Non conoscevo la transessualità, a casa mia non se ne parlava mai. Ascoltavo Renato Zero e ho iniziato a conoscere questo mondo sconosciuto. Il primo pensiero che ho avuto è di essere gay, avendo un’attrazione verso le donne”.
E le procurava fastidio o problemi?“No, ma non l’avrei mai detto a nessuno. È un’età in cui ti dicono che è normale, che tutti ci pensano… Ricordando episodi, anche a Carnevale le altre ragazzine si vestivano da principesse, io da Crocodile. Andando con gli anni, verso i 19-20, ho capito perfettamente. Rimaneva una cosa utopica, non pensavo di fare il percorso, non l’avrei mai detto a nessuno e non mi sarei mai esposto. Ma da quando lo capisci inizi a stare male. Ti avvicini a donne che sono eterosessuali, nel mio caso non cercavo la donna omosessuale”.
Come mai scelse di non dire niente a nessuno, in quel momento?“Quando si ha a che fare con una persona eterosessuale che ama gli uomini, che cosa potevi dire? Non pensavo che avrei fatto il percorso. La sofferenza era anche nei discorsi di tutti i giorni, tenersi tutto dentro è stato difficile. Ho sbagliato io a farlo, però non ero pronto, avevo paura della società, è palese”.
Poi, com’è arrivato a decidere di compiere il percorso per diventare uomo?“Ho fatto sei anni di psicoterapia, non solo ma soprattutto per quello, e ho messo apposto delle cose nella mia vita. Ho deciso due anni e mezzo fa circa. Con lo psicologo ho parlato? Sì, con uno psichiatra eccezionale che ho trovato dopo averne girati tanti. E ho avuto a fianco un’amica che mi ha aiutato molto moralmente: non dicendolo a nessuno tranne che a lei, mi sentivo solo. Lei mi spingeva a fare, a non pensare alla gente. Mi ha spronato, senza di lei non l’avrei fatto. Due anni e mezzo fa ho deciso che era ora di cambiare, la situazione era insostenibile. Stavo male, non dormivo più, mi ammalavo sempre a causa dello stress mentale, ero sempre stanco, non avevo voglia di far niente, non uscivo più. Ero spesso anche assente dal lavoro per malattia. Allora ho deciso, ho chiesto le perizie…”
Appunto, cosa deve fare una persona che vuole compiere questo percorso (o quello inverso)?“In Ticino nessuno ti sa rispondere, neppure l’Ufficio del medico cantonale. Ringrazio la Dottoressa Armani che mi ha dato aiuto dicendomi dove rivolgermi. Due psichiatri diversi, designati, devono dare parere favorevole per l’inizio delle cure ormonali. Pochi giorni prima di andarci l’ho detto alla mia famiglia, ed è stata la cosa più dura in assoluto”.
Ha detto in diverse interviste che loro accettarono la sua scelta. Se avessero reagito in modo diverso, avrebbe continuato comunque per la sua strada?“Dentro di me avevo paura della reazione, ma che stessero male loro, non che non mi accettassero. Sono due persone molto buone, attaccate alla famiglia, anche se mia mamma è vicina alla Chiesa. Temevo per esempio che mio padre potesse avere un infarto… Ho immaginato quel momento mille volte negli anni e ho sempre visto una catastrofe, non nei miei confronti, bensì a livello di dispiacere. Se avessero reagito in modo diverso avevo la mia frase pronta, ovvero “io devo remare in questa direzione, o salite sulla barca o scendete”. Arrivi a quel punto in cui ti dici che a costo di perdere la famiglia o il lavoro lo devi fare e basta”.
C’è stato invece qualcuno che è sceso dalla barca?“Da quando l’ho detto pubblicamente nessuno mi ha abbandonato, anzi molte persone mi sono state accanto. Negli anni, prima di dichiarami, quello che era palese, dato che mi vestivo sempre dai 15 anni in giacca e cravatta, non era capito da alcune persone. Ricordo che un’amica mi regalò a un compleanno un set da trucco, un’altra la cravatta! Ho ringraziato anche per il set, però ci sono rimasto molto male”.
Un’ultima curiosità: da dove viene il nome Nash che lei ha scelto per sé?“Volevo un nome non di lingua italiana per staccare dal mio nome precedente, che era Sara. In realtà ho due nomi, Nash e Friedrich. Quest’ultimo l’ho preso perché sono appassionato di Nietschze, volevo fosse il primo ma mio papà non riusciva a pronunciarlo. Desiderava mi chiamassi Sascha, io ho preso Nash perché è il secondo nome di mio nipote. Ascoltavo la musica dei Crosby, Still, Nash and Young, insistetti con mia sorella per far chiamare mio nipote così, e lei glielo mise come secondo nome. Ho pensato a diversi nomi diversi e non li sentivo su di me, non è evidente scegliere un nome per sé stessi. C’era anche una serie tv che si chiamava Nash Bridges, che parlava di due investigatori”.