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Dal profilo Facebook di Matteo Conconi
Cronaca
20.09.19 - 16:580
Aggiornamento: 17:38

La storia di Matteo: un braccio robotico, un libro per la nonna, il sogno di tornare in moto. "E mai mollare"

A 22 anni un incidente sul lavoro gli costò un braccio. "A quell'età, ti chiedi se sarai ancora accettato dagli altri". Le FFS gli hanno proposto un nuovo lavoro, e per aiutare gli altri ha deciso di raccontare la sua vicenda in un libro

COLDRERIO – “La mia vita non è cambiata molto. Sono diventato più forte, ho imparato a non piangermi addosso magari come facevo prima per piccole cose. E sembra assurdo, ma senza un braccio ho avuto più ragazze”. Scherza, Matteo Conconi. Ha perso un braccio in un incidente, però ha avuto sempre a fianco la famiglia, ha intenzione di sposarsi ed ha un nuovo lavoro, fa palestra e presto vuol tornare in moto: non ha ancora 30 anni, eppure questo ragazzo trasmette forza.

Si commuove parlando della nonna, scomparsa di recente. È grazie a lei se ha scritto il libro che verrà presentato domani alle 17 alla Libreria dei Ragazzi di Mendrisio, “Più forte di prima” (un titolo che dice già tutto), edito da SalvioniEdizioni con la collaborazione di Pro Infirmis e il sostegno del DSS. “Quando ero triste chiamavo mia nonna, era un po’ la mia seconda mamma. Si preoccupava che magari non mangiassi e di riempirmi il frigo lei ha avuto una vita difficile, è rimasta orfana da piccola e ha cresciuto le sue sorelle. Quando mi vedeva giù mi diceva che aiutare gli altri fa star bene. Come potevo farlo? Scrivendo il libro, si poteva conoscere la mia storia, così le persone possono contattarmi, magari fare due chiacchiere. Mia nonna ha dato il via al libro, è dedicato a lei. Quando è venuta a mancare, è stato un colpo basso, volevo smettere di scrivere poi dato che glielo avevo promesso ho voluto ‘tirare fuori le palle’, scusa il termine, e finirlo. Sono convinto che sia orgogliosa di me”.

E con la memoria torna nel passato. “Il mio incidente è avvenuto il 15 novembre 2013. Lavoravo per le FFS, nel settore linee di contatto. In poche parole ci occupavamo di tutto ciò che sta sopra il binario dell’alta tensione, pali, fili, fili che trasportano la corrente. E quel giorno ebbi un incidente che mi costò l’amputazione del braccio sinistro sopra il gomito. Avevo 22 anni”, racconta. “È stato duro accettarlo. A quell’età hai dei pensieri che magari sono diversi da quelli di un 30enne. Ora ho altri valori, ai tempi il mio pensiero era se sarei stato accettato dagli amici, dalle ragazze. Mi avevano conosciuto con due braccia e dopo cinque-sei mesi di ospedalizzazione mi rivedevano con un braccio robotico. Fosse successo a 40 anni, probabilmente il primo pensiero sarebbe stato il lavoro, a 20 no”.

Ma tutti lo accettano, e le sue paure passano. “Nel tanto è cambiato poco. Sono più impacciato in alcune cose e più svelto in altre”. Ha dovuto abituarsi a quello che chiama braccio robotico. “Ho fatto parecchio allenamento nella clinica della Suva, dove sono stato due mesi fisso e per un altro paio da ambulatorio. Il braccio robotico si muove con i sensori dei muscoli, posso aprire, chiudere e girare la mano. Ci è voluto tanto allenamento. Poi ho un braccio fisso, un po’ come quelli dei manichini ma più bello, serve solo a compensare il peso dell’arto e a evitarmi problemi di schiena che avrei con questo scompenso di massa”. Pensieri complessi da assimilare a 22 anni. “È stato tosto capire che dovevo star chiuso in clinica per far andare un braccio, io che ero cresciuto fra oggetti automatici”, ammette. “Lo devi accettare, però”.
Si è chiesto “perché a me” ma è convinto che accada a tutti. “Vorremmo essere perfetti e non lo siamo, per cui ci poniamo la domanda. I momenti brutti ci sono stati, ho un carattere per cui non mi piango addosso e dovevo andare avanti a testa alta. La prima volta dallo psicologo ero giù di morale, dalla seconda seduta parlavamo della moto e di ciò che facevo prima”.

Matteo parla della sua voglia di ricominciare. “Come se nulla fosse successo. Son sempre stato fiero di me stesso: ho ripreso la palestra, con meno sedute e meno esercizi, dato che con un arto in meno la fatica, lavorando su altri muscoli, raddoppia. Presto tornerò in moto, sono in contatto con delle persone che corrono con protesi. Devo solo convincere i miei genitori. Io mi vedo come se nulla fosse successo, mentre a loro fa paura però sono una testa calda e ce la farò (ride, ndr)”. Mamma e papà sono diventati più protettivi, però Conconi li ringrazia. “Ma loro sono stati davvero la mia prima forza, senza loro vicino sarei stato perso. Sono stati veramente il top, sempre vicino a me, li posso perdonare se mi dicono di non andare in moto. Tanto lo faccio lo stesso…”

Le FFS gli hanno permesso di continuare a lavorare. “Sono stato fortunato, essendo una grande azienda mi sono stati molto vicini. Ho iniziato al 50%, poi al 70% e ora sono al 100%, mi occupo di pianificare il personale sul cantiere. È un lavoro d’ufficio, ero abituato a lavorare a turni e fuori e avendo un carattere esuberante mi rendo conto di far un po’ disperare i colleghi attuali, più tranquilli. Prima facevo fatica fisicamente, ora mentalmente, e mi stressa, ma è fattibile, mi piace, ho trovato la mia strada. Porto un po’ del fuori, dove lavoravo prima, anche in ufficio, porto un po’ di casino e per fortuna sono a stretto contatto con i miei ex colleghi, per cui do qualcosa in più”.

Cosa direbbe a chi si ritrova in una situazione simile alla sua? “Di andare avanti, sempre, di non mollare mai, sempre scontato. Si perdono delle cose ma se ne guadagnano altre. Prima ero un ragazzo che si buttava giù per piccole cose, ora supero momenti che prima vedevo come tragici, dicendomi ‘domani sarà meglio’. Bisogna essere fieri di sé e andare avanti”. Anche a livello di progetti è cambiato pochissimo. “Sono fidanzato, parliamo anche di matrimonio, non sarà comunque subito. Sembrerà strano però ho avuto più storie senza un braccio che con due, tanto che gli amici per scherzo mi dicono ‘Conco, mi chiedo come fai, se funziona così bene mi strappo un braccio’. Mi auguro che la mia ragazza sia l’ultima, devo mettere la testa a posto a 28 anni…”. 

L’incasso del libro sarà devoluto in beneficienza.

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