di Marco Bazzi e Andrea Leoni
Cari lettori, non avremmo mai pensato di dover arrivare a scrivere queste righe. Il senso di tradimento e di abbandono che avvertite da parte delle autorità federali e cantonali e che ci state manifestando in tantissimi in queste ore, è anche il nostro.
Con Berna il filo della fiducia si era già spezzato da qualche giorno. Da quando il Consiglio Federale, su indicazione del ministro ticinese Ignazio Cassis e di qualche altra voce governativa del Canton Ticino, non chiudendo i confini per motivi economici, ha reso il nostro Cantone nient’altro che la tredicesima provincia della Lombardia.
Con Bellinzona, con il nostro Consiglio di Stato e con il medico cantonale, restava in piedi un legame sempre più scricchiolante. Ieri abbiamo provato a puntellarlo con un appello all’unità, cercando di abbassare i toni, nella certezza che, come abbiamo scritto e come sta avvenendo, il virus ci avrebbe imposto in fretta le misure che ancora non erano state prese. LEGGI QUI
L’atteggiamento che il Governo ha adottato ieri è stato da piromani, con comunicati stampa in cui addirittura si minacciavano i comuni disobbedienti e un capo dipartimento che ha passato la giornata a strillare al telefono con i municipi che coraggiosamente hanno deciso di disobbedire, e a fare il fenomeno sui media contro il Governo italiano, l’OMS e il semplice buonsenso.
Ci siamo sentiti stupidi e feriti, lo confessiamo, quando ieri notte abbiamo letto la lettera che i vertici dell’Ente Ospedaliero Cantonale e della Clinica Moncucco hanno spedito al Consiglio di Stato nel tardo pomeriggio di ieri. Un appello dai toni e dai numeri drammatici in cui al Governo si è chiesta una cosa semplice: chiudere tutto e subito. La lettera è stata recapitata solo 24 ore dopo quella che ormai non si può che definire la conferenza stampa della vergogna, dove veniva imposto alla popolazione di mandare i figli a scuola e dove il medico cantonale ha accusato di egoismo i genitori che avessero disobbedito. E nello stesso giorno, nelle stesse ore, in cui il ministro Bertoli continuava la sua crociata al motto di “o scuole aperte, o morte”. Come è stato possibile? Come ci si può ancora fidare?
Non le chiuderemo mai le scuole, diceva ieri Bertoli. E neanche 12 ore più tardi, oggi, sconfessato dalla lettera di EOC e Moncucco e sepolto dalla pressione popolare, l’Esecutivo ha ceduto: scuole chiuse - con tanti saluti a tutte le motivazioni sanitarie che erano state addotte fino a ieri -, ma con un servizio di accudimento dei figli dei genitori che devono lavorare. Né più e né meno di quanto proponevano medici e comuni “ribelli”.
La tesi che nelle ultime 24 ore la situazione sia precipitata non regge, come non regge la comunicazione odierna del Governo secondo la quale le misure vengono rivalutate di giorno in giorno. Non regge perché la situazione e la sua probabile drammatica evoluzione era chiara ormai da giorni. Ben illustrata da molti medici di ogni ordine e grado e dall'Ordine dei medici.
Certo, ci si dirà che nelle ultime e nelle prossime ore le attività economiche e amministrative non essenziali sono state o verranno sospese, e che quindi molti genitori saranno liberi di gestire i loro figli senza dover far capo a nonni e famigliari anziani.
Ma l’obiezione è mal posta in quanto la chiusura delle scuole impedirà, speriamo, che troppi ragazzi di ammalino con il rischio di infettare i loro stessi genitori, quando non i docenti.
In ogni caso, si sono persi giorni preziosi nell’illusione di procedere con una linea opposta a quella adottata dal resto del mondo. Del resto il professor Andreas Cerny ripete da giorni che la “politica del contagocce” (quindi delle misure che durano lo spazio di una giornata) è assolutamente inadeguata per contenere l’epidemia.
La strategia del Consiglio di Stato non ci ha mai convinto e lo abbiamo scritto a chiare lettere, anche quando dirlo sembrava una bestemmia. Ci siamo presi gli insulti da alcuni colleghi e leccaculo di corte, che l’unico contributo che hanno dato in questi giorni è stato quello di pendere dalle labbra del Governo e di continuare a negare i fatti. Gli stessi che hanno insultato i medici che, per primi, si sono ribellati e hanno allarmato la popolazione (sgridati anche loro dal ministro Bertoli durante la conferenza stampa della vergogna). Gli stessi che per soli motivi ideologici e politici hanno continuato a infangare chi diceva la verità e a osteggiare le misure necessarie.
La cosa drammatica è che per capire che stavamo per schiantarci contro un iceberg bastava informarsi (seguendo l’evoluzione della crisi in Lombardia), collegare i fatti con un po’ di logica e aggiornare una tabella excel. Come sia stato possibile che ciò non sia avvenuto nella stanza dei bottoni, noi non riusciamo a spiegarcelo. Come non avrà mai giustificazione il fatto di aver gettato al vento le tre settimane di vantaggio che avevamo sulla Lombardia.
Non ci ha mai convinto la strategia del Governo, ma abbiamo sempre dato per scontato che almeno gli esperti cantonali, a cui i nostri stessi ministri si erano affidati, venissero tenuti in debita considerazione. La lettera di ieri è una rottura istituzionale. Le persone che l’hanno firmata siedono infatti nello Stato maggiore, dove hanno un canale aperto e costante con l’Esecutivo. Se hanno scelto di scrivere è perché era l’ultimo modo rimasto per farsi ascoltare, un estremo atto di coscienza civile. I ticinesi gli saranno per sempre grati.
Oggi ciò che davamo per scontato non lo è più. La fiducia è spezzata. Ci chiediamo quante altre informazioni possono essere state taciute o addomesticate. D’ora in poi rischia, purtroppo, di diffondersi tra la popolazione il dubbio che le tesi governative anche su altri temi non corrispondano alla realtà dei fatti.
Ma un Governo ci serve. Ci serve oggi più che mai. Per affrontare l’emergenza sanitaria, per i provvedimenti che dovranno essere adottati per sostenere l’economia e i cittadini di questo Cantone. Come rattoppare, almeno provvisoriamente, questo strappo lacerante? Un’idea, rapida e pragmatica, potrebbe essere quella di nominare un commissario alla gestione della crisi, con ampie deleghe, pescandolo magari tra le personalità sanitarie che hanno sottoscritto la lettera al Governo.
Giorgio Merlani e Manuele Bertoli si ritirino nei loro uffici. Sarebbe un atto utile e concreto per puntellare le istituzioni in questo momento drammatico. Ci pensino. Il resto del Consiglio di Stato chieda scusa a questo Paese ferito, ai medici che sono stati sgridati e ai municipi minacciati di Cadenazzo, Monteceneri, Taverne, Lugano e Locarno, e altri ancora che hanno avuto il coraggio di mettere al primo posto la difesa della salute pubblica. Senza se e senza ma.
E poi ci si metta finalmente a governare con l’elmetto in testa: i tempi sono quelli di una guerra. Nonostante tutto, non abbiamo alternative allo stare uniti e a sostenere le nostre istituzioni. Ma occorre un nuovo patto di fiducia tra cittadini e Stato. Soltanto così gli sforzi, le rinunce e i sacrifici di tutti noi potranno sfociare in una nuova consapevolezza e comunione collettiva. Unire il Paese è il primo e indispensabile obiettivo per vincere questa sfida.