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Cronaca
14.03.20 - 14:380

Cosa resterà del Coronavirus? Il lavoro non sarà più lo stesso, ma forse più... smart

Molte aziende hanno dovuto far ricorso al lavoro da casa, scoprendo che è fattibile. Si tornerà indietro o si implementerà sempre più, coi suoi pregi e i suoi difetti?

di Paola Bernasconi

Cosa resterà del mondo pre Coronavirus? No, non voglio scrivere un pezzo apocalittico. Non credo che ci estingueremo, non vedo di fronte a me scene stile Spielgberg ne “La Guerra dei mondi”. Ce la faremo, come dicono tutti. Ma qualcosa resterà, di questo virus.

Ha fatto aprire gli occhi, forse. Ci ha mostrato un Ticino assolutamente dipendente dalla vicina Penisola, per il personale sanitario ma non solo. Tanto che chiudere le frontiere avrebbe messo in ginocchio un Cantone. facile dire che si sapeva, rendersene conto di fronte a una emergenza, chiedersi se si troverà aperto il solito bar perché la cameriera è italiana, se si potrà andare a fare la piega dal parrucchiere italiano,domandarsi se è il caso di fare scorte perché il macellaio da cui tanto ci si trova bene è lombardo, oltre che vedere vari negozi chiusi perché per i lavoratori fare ore e ore di auto a causa dei controlli è troppo, è diverso. 

Poi, si nota quanto si è legati a attività di consumo, quelle definite non indispensabili. Siano le estetiste, i cinema, le palestre. Siamo talmente abituati ad andarci quando vogliamo che trovarli chiusi lascia un senso di disorientamento.

Il Coronavirus peserà sull’intera economia. Se come dopo una guerra ci sarà la voglia e la forza di ripartire lo si vedrà, sicuramente i giorni dell’epidemia lasceranno buchi e debiti, spese e lacrime che al momento ancora non possiamo valutare.
Se qualcosa di positivo c’è, è stata la scoperta dell’home working. Improvvisamente, il Ticino ha scoperto quanta gente può lavorare da casa. E, fatemelo dire, per una persona come me che ha studiato da casa e lavora da casa, era abbastanza ovvio. Un pc, una connessione, il telefono, in molte professioni basta quello. Spesso si chiedeva a gran voce l’implementazione del lavoro da casa, adesso che si è visto che funziona, si tornerà indietro?

La gente tornerà negli uffici oppure le riunioni saranno virtuali? Inutile dire che si svuotano le strade, si limita l’inquinamento, si migliora la conciliabilità lavoro-famiglia, perché lavorare al pc e prendersi cura di un figlio è possibile, far andare di pari passo lavoro e gestione di una casa anche. Si scoprirà quanto conti l’organizzazione, si vedranno i lati positivi e si conosceranno sulla propria pelle quelli negativi: il non avere una fine del lavoro e un inizio della giornata libera, il non avere divisione fra ufficio e abitazione, la fatica di sostituire il caffè coi colleghi con una videochiamata.

Sicuramente, pensare a un mondo che lavora da casa, dove possibile, è impensabile. L’ipotesi è che si possa andare verso un’implementazione dell’home working parziale.

Ovviamente, a questo punto ci si chiede che forma avranno gli uffici, le riunioni, i meeting. Quanto lo spazio cambierà. Non servirà per forza, se non ci si deve recare sul posto di lavoro, abitare qui vicino. 

Un modo di avere una vita più libera? Per esperienza, sicuramente. Per i datori di lavoro, un risparmio? Dipende dalle condizioni, ma probabilmente sì. Addirittura si potrebbero tagliare spese di affitto di locali. 

A quel punto, qualcuno si chiede se non potrebbe essere l’inizio di una delocalizzazione. Come il lavoro lo si può fare da Bellinzona, Rancate, Airolo, dalla cima del Generoso, si potrebbe fare dall’altra parte del mondo. Quella sì che sarebbe un’idea spaventosa. Le risposte non le ho. Mi auguro di no, perché a quel punto non sarebbe una modifica del modo di lavorare bensì una perdita di identità. Non esattamente la stessa cosa. 

L’augurio è che dell’home working si colgano gli aspetti positivi, si impari a convivere con quelli negativi, che come in ogni forma di impegno ci sono, li si ottimizzi. Che lo si usi per aiutare la gente a meglio conciliare la propria vita personale col lavoro, e di conseguenza a rendere meglio. Ovvio, si responsabilizza il lavoratore, che a quel punto va anche premiato e valorizzato. La perdita della componente gruppo va messa in conto. La si deve mantenere con altri metodi, in altre forme. Serve la mentalità motivante di chi il lavoro lo dà. Serve un rapporto di fiducia, un sapere che anche se il dipendente è a casa, non dorme ma lavora. 

Però il Coronavirus ha mostrato che si può. Tutto il resto verrà da sé.

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