GINEVRA - L’università di Ginevra ha recentemente presentato uno studio sul ruolo dei medici di famiglia nella gestione strategica dell’epidemia del Covid-19.
Il Covid-19 si è distinto per l’improvvisa gravità dei sintomi che può scatenare e che determinano il ricovero di un’ampia percentuale di ammalati in cura intensiva.
Ma un buon numero di persone infettate, hanno presentato dei sintomi leggeri, che non hanno necessitato di presa a carico ospedaliera.
D’altro canto, il rischio della trasmissione del virus non risultava essere diminuito. Questo anche per via dell’iniziale carenza di test per il depistaggio: il famoso tampone.
Questo studio congiunto di ricercatori delle Università di Ginevra e di Lione ha analizzato i dati clinici di 1'500 pazienti ambulatoriali, che erano stati sottoposti allo striscio.
Questo mentre in tutta Europa venivano raccolti dati clinici esclusivamente in ambito ospedaliero, che evidenziavano dei quadri clinici molto diversi rispetto a quelli riscontrati dai medici di famiglia nei loro studi.
In considerazione della popolazione ambulatoriale, molto differente da quella che arrivava in ospedale, questa discrepanza non è sorprendente, dato che i pazienti ricoverati rappresentavano uno stadio più avanzato della malattia.
Fin dall’inizio della pandemia, l’attenzione dell’opinione pubblica è sempre stata focalizzata da parte dei media sulle informazioni provenienti dagli ospedali, i soli che erano organizzati per una raccolta sistematica dei dati.
Tuttavia altri sintomi, individuati sin da marzo 2020 negli studi medici, han dato prova di essere più predittivi della malattia rispetto ad altri, quali la febbre o la tosse, identificati a livello ospedaliero e rivelatisi nel tempo, poco specifici.
L’osservazione svolta dai ricercatori dell’Università di Ginevra, ha confermato ancora una volta che una politica di salute pubblica nella gestione di un’epidemia non può unicamente basarsi sui dati provenienti dagli ospedali, soprattutto quando, come nel caso del Covid-19, mancavano dei test per realizzare un depistaggio con sintomi iniziali minimi, come, per esempio la perdita del gusto e dell’olfatto.
La ricerca dell’Università di Ginevra è già apparsa su due riviste scientifiche internazionali, il Journal of Internal Medicine e il British Journal of General Practice, ed è in fase di pubblicazione sulla Rivista della Oxford University Press, Family Practice.
Tutti questi studi, condotti nella situazione di emergenza, mettono in luce come il medico di primo ricorso resti spesso al margine delle decisioni politiche, nonostante il fatto che per la stragrande maggioranza della popolazione, questa figura rappresenti il primo (e sovente unico) contatto con il sistema sanitario.
Lo studio ginevrino ha anche evidenziato come la ricerca in medicina di famiglia sia ancora troppo poco sviluppata, anche quando si basa su dati probanti, mentre potrebbe occupare un posto di maggior rilievo nella costruzione della conoscenza accademica e medica, a tutto vantaggio del benessere pubblico.
Da informazioni di liberatv, anche l’Ordine dei Medici del Canton Ticino (OMCT) sta per pubblicare uno studio basato sui dati di 3'500 pazienti visitati e testati nei Checkpoint Covid ticinesi.