LOSONE – Quel dolore di non sapere che cosa ne è stato di un caro, se è deceduto senza essere stato trovato oppure se sta bene da qualche altra parte del mondo, lei lo vive quotidianamente. Da quasi tre anni sua zia, Geneviève Tomonaga-Ducotterd, è scomparsa. Da allora, il mondo della nipote (nome noto alla redazione) è cambiato.
Quando sente la notizia di qualcuno scomparso, rivive tutto. E adesso che il Ticino si sta mobilitando per Reto Compagnoni, il parapendista disperso, anche lei ha voluto dare il suo contributo, andando con un’amica a binocolare.
Cosa si prova in queste situazioni? Trovo che sia notevole che lei abbia deciso, dopo essere stata toccata da una vicenda simile, di mettersi a disposizione…
“Mi fa piacere che si percepisca. Ogni volta che qualcuno scompare, mi riporta a quel fatidico 2 agosto. C’è la speranza che per queste persone possa andare meglio e ci possa essere un lieto fine. È un dramma che rimane, negli anni”.
Lei aveva cercato anche Boris Bernasconi, vero?
“Mi ero messa in contatto con la zia, cercando di sostenerla in qualche modo. Sono quelle tragedie che uniscono le persone, si vede dalla grande solidarietà della gente, che diventa balsamo in questi momenti”.
Cosa la spinge a uscire sul campo in prima persona?
“Il fatto che anche per noi tanta gente si è resa disponibile. Mi gratifica, mi fa bene potermi sentir utile, anche se si tratta in questo caso solo di binocolare pareti rocciose. Può sembrare poco ma è tanto, credo che chiunque aiuti nelle ricerche di questo ragazzo scomparso col parapendio sia essenziale, un pezzo di un puzzle che si mette assieme. Sono stata nella zona da Linescio-Cerentino fino a Campo Vallemaggia-Cima al Motto, con un’amica, guardando tutta la parete della montagna che va verso la Val Onsernone. Purtroppo non abbiamo visto nulla di utile”.
Lei che sa cosa si vive, cosa pensa man mano che i giorni passano e Reto non si trova?
“Mi auguro che la sua esperienza lo aiuti. Non lo conosco ma mi dicono che è molto preparato a livello sportivo, mi vien da dire di sperare in queste sue qualità. Mi sono resa disponibile anche per la famiglia: a loro vorrei dire che posso capire i pensieri e la frustrazione di voler avere una risposta subito, di voler vedere che la porta di casa si apra. Di avere fiducia in chi lo sta cercando, di avere ancora un po’ di speranza. Un dramma così unisce chi lo vive. Un amico può capire, ma una persona che l’ha vissuto lo fa in un altro modo. Io ho ancora un’amicizia con la zia di Boris. Ho fondato una pagina Facebook sugli scomparsi, è un mezzo potente e credo sia il minimo che io possa fare”.
Quando qualcuno viene provato, sicuramente lei pensa a sua zia. Riesce a gioirne?
“Sono felicissima quando una persona viene trovata. Certo, mi chiedo dov’è mia zia, che fine ha fatto. Ma non ho risentimenti, credo che sia stato tutto quanto era possibile. Adesso non è che non viene fatto nulla, se ci sono segnalazioni esse vengono vagliate. Una volta all’anno mi incontro con gli ispettori di Polizia e facciamo il punto della situazione, vedo sempre grande disponibilità. Per me, quando una persona non torna a casa bisogna partire subito, in qualsiasi circostanza. In questo caso mi sembra che si siano attivati subito. Poi la storia degli scomparsi si mette a coté, è una tematica che fa come un boomerang, quando arriva ti travolge e quando torna la quiete la gente si dimentica”.
Fra pochi giorni saranno tre anni dalla scomparsa, come vivete in famiglia?
“Ovviamente manca. O veramente è successo qualcosa, si è fatta male e nessuno l’ha trovata, o lei è viva da qualche parte e si sta rifacendo una vita per conto suo. La parte razionale spera sia viva, in altri momenti si deve pensare a livello più terreno e ti dici che la zona era impervia e vasta e sarebbe potuta finire ovunque. La vita cambia? Certo, tanto! È come se una parte di te rimane cristallizzata lì ma al contempo la tua esistenza va avanti, i giorni, i mesi, gli anni passano e c’è sempre quella parte ferma che aspetta notizie. La speranza è l’ultima a morire ed è vero. Sarebbe proprio bello sapere qualcosa”.
Tornando ai casi degli ultimi anni, per Boris si mobilitarono in molti e poi venne trovato senza vita. È più facile andare avanti con una risposta, anche se terribile?
“Non saprei, penso sia molto personale. Qualcuno può anche farsene una ragione in entrambi i casi. Se mia zia fosse morta e l’avessimo trovata, avere un posto dove portare un fiore, anche con i familiari, sarebbe un altro tipo di lutto. Così è un lutto che non si può elaborare”.