LUGANO - Bruno Balmelli “non ha esitato ad anteporre i propri interessi economici alla sicurezza della collettività” e “non si è fatto alcuno scrupolo né pensiero nel far appiccare un incendio nel pieno centro di Lugano, con tutte le conseguenze drammatiche che ne sarebbero potute seguire per l’incolumità di chi vi risiede, e tanto meno nell’indurre in errore l’assicurazione portandola a corrispondergli un’importante somma in realtà non dovuta”.
Così si legge nelle motivazioni della sentenza nei confronti del noto commerciante luganese, 73 anni, condannato in ottobre dalla Corte delle Assise criminali di Lugano, presieduta dal giudice Amos Pagnamenta, a 4 anni di carcere da espiare. Insieme a lui, al processo, c’erano anche quattro complici, condannati a pene comprese tra i 12 mesi sospesi e i 34 mesi parzialmente sospesi (LEGGI QUI).
Ma l’elemento forse più rilevante che emerge dalle 244 pagine delle motivazioni sull’incendio intenzionale che la notte tra l’11 e il 12 febbraio 2021 ha devastato la boutique White di via Nassa – riassunte oggi da LaRegione - riguarda un altro rogo: quello divampato alcuni anni fa in un altro negozio di Balmelli, il Cashmere Square Outlet di Mendrisio.
Uno sconosciuto, mai identificato, si era introdotto nel negozio e aveva incendiato la merce, scrivono i giudici, “in quella che poteva apparire essere una vendetta, un avvertimento o atto intimidatorio”.
Balmelli, dunque, “sapeva per esperienza che l’assicurazione sarebbe intervenuta, così come aveva fatto circa 6 anni prima quando (in circostanze assai simili) a fuoco era stato dato il suo negozio di Mendrisio”.
Al processo Balmelli, che ha ricorso in appello, ha sostenuto di non aver mai avuto intenzione di bruciare il negozio: “Volevo liberarmi solo di parte di merce, non volevo sapere come, ho solo fatto presente che senza scasso l’assicurazione non avrebbe coperto nulla. Per me bisognava eliminare il materiale, farlo scomparire dal piano di sotto del negozio, dove c’è il magazzino. Non mi sarebbe andato bene dare fuoco al negozio, perché avrei voluto continuare l’attività. Pensavo che forse avrebbero bruciato la merce, ma fuori da lì”.
Ma il giudice Pagnamenta non gli ha creduto. “Non si comprende – scrive nelle motivazioni della sentenza - come una sola persona, nottetempo, avrebbe potuto svuotare un negozio in pieno centro di Lugano, asportando merce per un valore d’acquisto di quasi due milioni”. Inoltre, anche ammesso di riuscire a farlo, perché avrebbe dovuto bruciare abiti di un tale valore, invece che tentare di rivenderli sul mercato nero? “La risposta a tali interrogativi è una sola – si legge ancora nella sentenza - : distruggerla sul luogo era l’unico modo per liberarsi dello stock. E il fuoco era il modo più rapido e già conosciuto da Bruno Balmelli”.