BELLINZONA - Ha perso il posto in banca, dove era stakanovista e felice, con lunghe ore lavorate volentieri e risultati ottenuti. Non ha trovato nessun altro posto che quello in un call center, dove ogni giorno pesa come un macigno, come i sette anni che mancano alla pensione, e il sole spunta il venerdì. Il Mattino riporta la lettera di un lettore, che con estrema lucidità racconta uno spaccato di Ticino, quello di coloro che si devono reinventare dopo una certa età.
L'uomo inizia dal periodo post licenziamento, con la depressione dietro l'angolo. "Ho avuto una grande sensazione di delusione e ingiustizia per quello che mi era stato tolto. Lo smacco e anche la vergogna sono stati grandi e la depressione era sempre dietro l’angolo. Chi non l’ha provato non può capire. Oggi a distanza di tre anni, dopo la scadenza del periodo di disoccupazione e dopo aver dato fondo ai miei risparmi, ho trovato un’occupazione in un altro campo, ma l’amarezza e la vergona non mi hanno lasciato"
"Dal 2019 nessun colloquio, sono stato iscritto alla disoccupazione, dove mi si diceva che era difficile trovarmi un posto. Nessuno mi ha teso una mano, malgrado gli amici influenti che credevo di avere. Ho scritto lettere su lettere, l’ufficio di collocamento mi ha dimenticato". E alla fine è arrivata una offerta. "L’unico posto di lavoro che ho trovano è in un call center pieno di frontalieri. L’unico posto che non avrei mai voluto, né per me né per i miei figli, per quanto di negativo mi avevano sempre raccontato. Mi sono detto, io non sono loro, magari non è così grave, ci provo. Anche perché non avevo scelta! Da subito ho capito che sarebbe stato un lavoro duro senza alcuna soddisfazione. Ma io resisto".
"Se fossi stato un giovane frontaliere un lavoro più interessante nel settore terziario l’avrei sicuramente trovato, se penso che il salario non è sufficiente per me e la mia famiglia mi rendo conto che essere frontaliere ha solo vantaggi, perché vivere in Ticino con questo salario è quasi impossibile. Sopravviviamo", constata con amarezza.
E attacca: "Non è normale che dopo i 50 anni non si venga più considerati. Non è normale che, dopo aver lavorato oltre 35 anni, nel momento in cui la vecchiaia si avvicina siamo costretti a vivere in un mondo fatto solo per giovani!".
Condanna un lavoro in home office dove non ci sono interazioni e non si socializza, pur ringraziando chi gli dà un salario. E tiene duro. "La qualità di vita deve contare a tutte le età, anche alla mia, ma ormai ho perso la speranza. Se penso che mi mancano 7 anni alla pensione chiudo gli occhi e cerco di non pensarci! È dura vivere così!".