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23.09.17 - 17:090
Aggiornamento: 19.06.18 - 15:43

"Sparano a tua figlia e tu stai su Facebook". Quesiti e dolore ai tempi dei social: scrivere post con la bara ancora aperta è esternare o sfogarsi?

Selvaggia Lucarelli si è scagliata contro la madre di Nicolina, la 15enne uccisa dal suo ex, perché ha scritto sui social dei post dedicati alla figlia. "L'umanità mi fa più orrore del solito". Tra casi attuali e interviste invasive, dov'è il confine fra il consolare e il mettersi in mostra?

FOGGIA – Una morte orribile, come ne stiamo sentendo sempre più, in questo periodo. Uccisa dall’ex della mamma, lontana, quando era affidata ai nonni.

Un’altra forma di violenza sulle donne, si potrebbe dire, dove a farne le spese, per vendetta contro l’ex compagna, è una ragazza di 15 anni, che era già stata in passato minacciata. Lo Stato non l’ha protetta, “ti chiediamo scusa”, le hanno detto, adesso che è troppo tardi, dalle aule politiche.

I risvolti, le personalità coinvolte nel dramma di Nicolina, uccisa dalla pistola dell’ex compagno della madre che poi si è suicidato, sono tante e complesse. Non sta a noi, che in fondo il caso l’abbiamo seguito con poca attenzione, bombardati solo dai titoloni.

Ma qualcosa ci ha colpito e dato uno spunto di riflessione. È l’intervento ieri di Selvaggia Lucarelli, che, piaccia o non piaccia, è sempre ficcante (sul caso Noemi, si era chiesta come mai una ragazzina potesse uscire con un ragazzo che aveva subito tre Tso, per esempio: un argomento scomodo). La sua critica è stata rivolta alla madre della ragazzina: tuo ex spara in faccia a tua figlia quindicenne, l'ammazza e tu trovi il tempo e la voglia di scrivere anatemi su Facebook e rilasciare interviste a Mattino 5. E allora penso ai genitori di Yara. Mai una frase ad effetto a favore di telecamera, mai un'intervista, mai una parola rabbiosa nei confronti dell'assassino della figlia.  Solo poche parole limpide e piene d'amore per la figlia, che il papà pronunciò in aula (e solo in aula), ben 5 anni dopo la morte di Yara, nel 2015: "Era il collante, il sale della nostra famiglia, ogni cosa la faceva con una capriola, una giravolta. Era sempre allegra e sorridente: era il prezzemolo della nostra famiglia, Yara era la mascotte di casa". Ecco, i figli si amano anche così. Anche dopo. Avendo cura del loro ricordo, rifiutando l'idea che sulla loro faccia finisca la banda "esclusiva".  E scusate, ma tra annunci di confessioni del figlio annunciate in diretta, sceneggiate pugliesi, madri che si sfogano su Facebook col corpo della figlia ancora caldo, in questi giorni l'umanità mi fa più orrore del solito”.

La donna aveva commentato l’articolo sull’episodio con le faccine piangenti e la scritta “mia figlia”, poi aveva scritto dei post dove parlava del suo piccolo angelo, dicendo alla figlia “mi manchi tanto”.

Il dolore esposto su Facebook? Com’è il modo giusto di reagire a simili tragedie? Forse non c’è, forse non esiste. Probabilmente. Si parla di una persona che, se tutto è andato come è andato, qualcosa di non corretto, o almeno di discutibile ha fatto.

Eppure quante persone vogliono far sapere che qualcuno di caro se ne  è andato? È un metodo diverso da quello di una volta, dai necrologi sui giornali, che eppure continuano a esistere, per non dover chiamare gli amici,  a uno a uno? O i cuoricini, i RIP, gli addii commossi aiutano?

Esternare il dolore, lo si può fare in molti modi. C’è chi dice che non riuscire a piangere, tenersi il macigno dentro senza che esso trovi tregua e sfogo, faccia ancora più male. Chi lo sa, ognuno vive a modo suo. Se si chiede consiglio agli esperti, dicono di piangere, di non aver paura di mostrare le lacrime, di sfogarsi con amici. Esternare su Facebook equivale a chiamare una persona di fiducia? Oppure è solo un’ostentazione, credendo in quel modo di acquisire qualcosa, di aver diritto alla consolazione della gente, più che se piange a casa o vicino a una bara?

Rilasciare interviste, invadere la sfera intima quando il morto, come dice qualcuno, è ancora caldo, sta diventando una triste consuetudine. Un giornalismo a cui non vorremmo mai adeguarci, anche se fa audience, anche se scoop. Le lacrime in diretta, il dolore dato in pasto a milioni di persone, non è questo che vogliamo: è raccontare, è testimoniare, senza invadere quel privato che tale deve restare, perché se fossimo noi nei panni di quei genitori straziati, vorremmo dire tutto quello che stiamo provando a un mondo di sconosciuti?

Eppure quei post della madre di Nicolina, quelle parole in diretta, magari sono un modo per chiedere giustizia. Possibile, ma non avrebbe potuto farlo in altri modi, in sedi più consone, una volta visto che gridare nella rete non serviva? Non è servito, purtroppo. Oppure ormai si è così abituati alle lacrime da bere dallo schermo che trasferirle su un post è la cosa più naturale.

Ma allora, Facebook? Alle nostre latitudini, ci si domanda se la funzionaria cantonale, dopo che è stato confermato il decreto di abbandono nei suoi confronti per il caso delle cene di Bormio, avrebbe potuto esternare la sua gioia, il suo convincimento che tutto sarebbe finito così. Opportuno o no? Vietato oppure no?

Un comportamento unanime non esiste, con ogni probabilità. Però se continuiamo a chiederci che ruolo devono avere i social nella nostra vita, magari non siamo preparati ad essi. Chissà. Intanto, la povera Nicolina non c’è più.

Paola Bernasconi
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