Politica
13.04.16 - 11:560
Aggiornamento: 19.06.18 - 15:43
«I libri come guida nelle proprie scelte», Storie controvento entra nelle scuole
Sabrina Hilpish ci parla del festival che avrà luogo dal 13 al 16 aprile. «I ragazzi, se stimolati, leggono. Il tema della guerra aiuta a vedere le storie umane dietro i numeri dei telegiornali»
BELLINZONA - Da mercoledì 13 a sabato 16 aprile si svolge la terza edizione del Festival di Letteratura per ragazzi “Storie controvento”, dedicato ai giovanissimi. Ospiti di questa edizione saranno gli autori Kevin Brooks, Susan Kreller, Chiara Carminati, Fabrizio Silei, Bjorn Larsson ; la lettrice Alessia Canducci e lo scrittore illustratore Massimiliano Tappari. Ma i ragazzi leggono? E cosa cercano e possono trovare nei libri? Abbiamo colto l'occasione per parlarne con una delle organizzatrici, Sabrina Hilpish, Presidente dell'Associazione culturale Albatros.
Come sta oggi la letteratura dei ragazzi oggi?«Ci sono molti autori che trattano vari temi, tutta l'età dell'adolescenza può essere accompagnata. In prima media ci sono magari libri più spensierati, poi man mano i ragazzi crescono possono trovare temi che li riguardano nella loro crescita personale e nelle scelte che devono compiere, nelle situazioni, anche difficili, che devono affrontare. Gli scrittori, chi più chi meno, riescono a raccontare al meglio l'adolescenza, le storie sono un aiuto per maturare, ci si può rispecchiare e si può, al limite, trovare spunto».
I giovani leggono? I cliché dicono di no...«Questa è una lamentela che si sente sovente, ma se i ragazzi sono guidati e stimolati e si riesce a creare un interesse, leggono. Col nostro festival passiamo attraverso la scuola, con giovani motivati. I docenti della classi che si sono iscritte hanno scelto un libro di un autore da noi proposto e lo hanno letto a scuola, discutendo e capendo l'importanza della lettura e di ciò che può dare, anche in gruppo».
Ponete l'accento sull'importanza di incontrare l'autore per immedesimarsi nel libro, giusto?«I ragazzi hanno in mano le pagine, si immedesimano nei personaggi e ci ragionano, ma poi quando vedono chi ha scritto la storia possono chiedere molte curiosità, riguardo il libro, l'ispirazione e altro. Incontrare chi ha ideato la storia è interessante, oltretutto arrivano con cognizione di causa avendo letto il libro e riescono ad avere un'impressione più ponderata. Magari quando poi leggeranno un'altra opera dello stesso autore vi ritroveranno qualcosa che ha detto, si riuscirà a capire come mai ha scelto, per esempio, alcune ambientazioni, e pure ricordare il viso e la voce è bello per i giovani».
È senz'altro qualcosa di positivo, ma spesso non si ha la possibilità di conoscere gli scrittori... Dunque, come riconoscersi lo stesso nei libri?«L'importante è immedesimarsi nella storia e nei personaggi, incontrare e parlare con l'autore è un legame in più, ma prima va trovato il legame con la storia».
Incontrare i ragazzi è arricchente anche per gli autori?«Senz'altro, altrimenti non lo farebbero, perché è qualcosa di veramente stancante. I ragazzi spesso chiedono tutti le stesse cose, e ci sono autori che arrivano dall'estero per cui c'è anche il viaggio. Sicuramente devono trovare qualcosa in cambio: l'entusiasmo che i giovani danno è una carica e vedere un ambiente diverso può dare eventualmente ispirazione. Ciò che piace è il fattore umano».
Per la serata inaugurale avete scelto una lettura scenica incentrata sulla guerra, come mai? Ha prevalso l'attualità del tema?«Il tema generale del festival è l'ombra, dunque abbiamo portato dei libri che trattano la ricerca di luce, non per forza in chiave negativa ma come ispirazione interna e esterna della persona. In questo caso c'è questa situazione dolorosa e che schiaccia, lo spettacolo è molto impressionante e lascia il segno. Si sposava bene con l'attualità e con il nostro tema, ed era utile per proporre un altro linguaggio che non è solo la lettura ma anche l'ascolto, molto importante a quell'età».
La letteratura può aiutare a capire concetti difficili come i conflitti? E noi, siamo in guerra?«È veramente un'opera toccante che crea l'empatia e fa porre la domanda "cosa farei io in quella situazione", ci aiuta ad aprirci verso ciò che sta succedendo. C'è una certa assuefazione ai dati e ai numeri dei telegiornali, lo spettacolo sa entrare dentro. Da ciò che viene proposto, sì, siamo noi a essere in guerra, a dover scappare, a doverci salvare la vita, un viaggio al contrario! Quando l'ho visto io era ambientato nel Nord Italia, non so se la lettrice Alessia Carducci ha cambiato qualcosa per incentrarlo sul Ticino, ma in fondo poco importa: conta l'immedesimarsi in quanto accade, capire che non sono numeri ma che dietro ognuno di essi c'è una persona, e se conosciamo la sua storia viviamo il tutto in modo diverso».