Politica
10.10.16 - 11:140
Aggiornamento: 19.06.18 - 15:43
Pamini, il "mercato dei Municipali" e i partiti storici. «Spezzerebbe alcune baronie locali»
Il liberale Celio boccia la proposta, il leghista Bignasca sostanzialmente l'appoggia: Pamini non è sorpreso. «E la mia idea va in una direzione opposta al diritto al voto agli stranieri voluo dal PS»
BELLINZONA - L'hanno soprannominato il "mercato dei Municipali di Pamini": il rapporto di maggioranza di Franco Celio del PLR punta a una bocciatura, mentre c'è un'apertura da parte di Boris Bignasca. Paolo Pamini aveva lanciato, assieme a Sergio Morisoli, un'iniziativa parlamentare in cui si chiedeva che un cittadino possa candidarsi all'Esecutivo di un comune che non sia quello di domicilio. A sorpresa, Bignasca appoggia l'idea, inserendo il vincolo che un Municipale eletto debba trasferire il domicilio nel Comune per cui siede nell'Esecutivo. Abbiamo sentito Pamini per capire cosa ne pensa.
«In sostanza è quello che esiste oggi per il Cantone, pensiamo ad Alex Pedrazzini che è diventato Consigliere di Stato quando era domiciliato nel Canton Vaud. In Gran Consiglio lo stesso principio vale da anni, alcuni nostri candidati vivevano in Mesolcina e in caso di elezione avrebbero trasferito il domicilio», spiega il deputato de La Destra
Paolo Pamini, in riferimento alla modifica del leghista. «"Non è la mia proposta originale ma un compromesso che va nella stessa direzione e che mantiene buona parte dei benefici che prospettavo. Una persona non sarebbe costretta a cambiare casa per una campagna elettorale che potrebbe anche andar male».
Non vede il rischio che non vi siano candidati per i paesi piccoli, perché tutti prediligono mettersi in lizza per comuni più grandi e "interessanti"?«È una speculazione. Non si può categoricamente dire di no allo scenario, ma bisogna poi calcolare le possibilità di essere eletti, poiché non stiamo aumentando il numero dei Municipali. Un ipotetico abitante, per esempio di Cevio, si butterebbe nella mischia a Locarno, e lo potrebbe fare anche nel suo comune. Candidarsi in più comune permette di incentivare le persone a ingaggiarsi politicamente, perché il costo di una campagna va a beneficio di più candidature contemporanee».
E perché, allora, un cittadino dovrebbe candidarsi per un comune che non è il suo, escludendo il caso di cui abbiamo discusso prima?«Per un interesse verso una carriera politica a livello comunale. Nella mia proposta iniziale non c'era la necessità di cambiare domicilio: penso per esempio ad un giovane che può candidarsi per un Municipio piccolo, per fare gavetta. Un po' come avviene nelle professione, dove si inizia e poi ci si sposta in posti sempre più grandi e importanti, a livello politico comunale non è possibile. Facciamo un esempio: un giovane residente a Mendrisio si candida a Bissone, un comune non enorme con un buon ricambio di municipali, si fa conoscere e dopo otto anni si propone a Mendrisio o Chiasso. Tra l'altro, nelle grandi città capita che qualcuno metta il domicilio legale in città e vive fuori, bypassando il regolamento, ciò dimostra che c'è un interesse a una certa mobilità in questo senso. Questioni economiche? No, non credo, solo nelle grandi realtà c'è una differenza di retribuzione, io penso alla possibilità di carriera».
Ci sono altre persone che beneficerebbero della sua iniziativa?«Pensiamo a un giovane che inizia a far carriera politica nel proprio comune, poi per matrimonio o per lavoro si sposta in un altro comune. Deve lasciare il Municipio, e fare carriera nel nuovo paese dove abita non è facile, non essendo conosciuto. Con la mia proposta iniziale, questo ragazzo poteva non lasciare il suo posto».
A livello
politico, che influenza potrebbe avere "il mercato dei Municipali"?«Si potrebbero spaccare alcune baronie locali, perché il candidato esterno ben preparato inizierebbe a mettere pressione al Municipale che occupa il posto da molti anni. Dunque non mi stupisce che i partiti storici non vedano di buon occhio la proposta».
Dunque non la stupisce che la proposta si sostenuta dalla destra, da lei che l'ha inoltrata a Bignasca che, sostanzialmente, la appoggia, giusto?«Non è farina del mio sacco, il professor Eichenberger (colui che aveva ispirato la proposta di Quadri della tassa sui frontalieri, ndr) da anni scrive su queste cose. È una proposta altamente democratica, con maggior scelta per gli elettori. È una conferma più che benvenuta che la Lega, o almeno una persona come Bignasca, si è definita favorevole. I partiti storici, invece, hanno un grossissimo dilemma. Devono decidere se vogliono giocare la carta dei diritti popolari, una tradizione svizzera, dall'altra, avendo un controllo maggiore sul territorio, possono non avere interesse a diminuire la presa. Infatti, anche se la proposta non dovesse andare a buon fine, trovo che sia molto interessante vedere come si comporteranno in aula».
Come si pone la sua idea rispetto a quella socialista di dare il voto agli stranieri?«È diametralmente opposta. Qui si tratta di dinamizzare i diritti politici per i cittadini svizzeri facilitando loro il lavoro di candidarsi, di muoversi, di farsi eleggere e di dibattere con altri. Va a risolvere il problema di carenza di candidati che altri volevano risolvere dando il diritto di voto agli stranieri, un altro mondo. Questa sarà un'altra linea di tensione nel dibattito».