di Andrea Leoni
In questi giorni soffocanti e appiccicosi, nelle annoiate letture pomeridiane, si sono intrecciate due vicende di cronaca che stanno animando il dibattito di qua e di là del confine.
Da un lato il caso Vannacci, generale dell’esercito italiano, che si è autoprodotto un libro - “Il Mondo al contrario” - e ha scalato la classifica dei bestseller di Amazon. Nel libello il militare teorizza e denuncia una dittatura delle minoranze (etniche, Lgbt e tutte le altre) sulla maggioranza silenziosa, instaurata attraverso il randello del “politicamente corretto”. Da questo presupposto, non del tutto campato in aria, Vannacci giunge a conclusioni spericolate e brutali, sconfinando abbondantemente nell’omofobia e nel razzismo: “Cari gay, non siete normali”, tra le altre. Opinioni assurde ma legittime in un libero dibattito intellettuale, inqualificabili per un alto graduato dell’esercito in servizio che con la sua divisa è chiamato a rappresentare e a difendere una Costituzione, che tutela la dignità e i diritti di ogni singolo cittadino. La libertà d’espressione, a cui s’appella il Generale, non c’entra un tubo, poiché nessuno ha chiesto di ritirare il suo libro dal mercato (e ci mancherebbe!). I suoi capi l’hanno messo sotto indagine per verificare se vi è compatibilità fra il ruolo che esercita e le esternazioni contenute nella pubblicazione (e ci mancherebbe!). La seconda polemica concerne invece l’agenda scolastica del DECS, dove con un paio di vignette viene affrontata - diciamo così… - la spinosa questione dell’identità di genere. Reazione scontata: centrodestra all’attacco, centrosinistra in difesa. Pop corn!
Le due vicende sono solo apparentemente distanti e slegate. Lo sono nei fatti ma non concettualmente. Quella del Vannacci è infatti una febbraccia: aggressiva, disabilitante, pericolosa. Ma è un sintomo, il segnale che una parte della società sta arrivando a un punto di rottura ed è pronta a manifestarsi anche con parole e atti fascistoidi, per contrapporsi al virus del “politicamente corretto”, ai suoi derivati ideologici e alla sua propaganda. Questo è preoccupante.
Intendiamoci bene: non ho alcun dubbio che la maggior parte degli italiani (e degli svizzeri) non pensino che gli omosessuali siano esseri anormali, che si viva meglio nell’ordine e nel rigore del regime russo anziché nelle democrazie occidentali, che il passaporto debba in qualche modo accordarsi con i tratti somatici o il colore della pelle. Le tesi del Generale sono minoritarie, per fortuna. Ma esiste una parte della popolazione sempre più insofferente all’ideologia Gender, a quella cancel culture che prende di mira la lingua, le statue, i libri e i cartoni animati, alla censura, sia in forma attiva che passiva, che erode giorno dopo giorno la libertà di espressione, culturale, dei costumi e dei comportamenti.
Detta banalmente c’è una parte della popolazione che non è disposta a mettere in discussione il fatto che gli esseri umani nascano maschi o femmine. E che questa differenza biologica non può essere cancellata o rimodellata con la politica. E quando questa politica viene inoculata nella società attraverso lo strumento della propaganda (social, serie tv, cartoon, moda, pubblicità, agende scolastiche), e indirizzata in particolare verso i più piccoli, il rischio è che la reazione diventi scomposta, stile Vannacci.
Il tema vero è che queste ideologie, in una parte del mondo Occidentale, sono ormai dizionario di Governo e spartito dell’establishment. E come purtroppo accade spesso, quando le minoranze passano dalla parte del potere o ne divengono patrimonio, restituiscono con gli interessi l’intolleranza e l’intransigenza subita. Una parte della popolazione però - e questo è il punto - non è d’accordo a digerire il nuovo Verbo e la temperatura dell’insofferenza è crescente. Occorre fare in modo che questa insofferenza, non si accordi con le tesi estremistiche dei Vannacci. Le derive di segno opposto alle angherie del politicamente corretto, come abbiamo visto, sono dietro l’angolo e altrettanto pericolose. Di qua e di là dell’oceano.