*Di Marina Masoni
Come avete constatato in modo concreto, il 2023 è stato un anno denso. Abbiamo portato in porto i due progetti che vi abbiamo presentato, di cui siamo particolarmente fieri: il premio Ticinomoda per il miglior lavoro di Bachelor e Master USI e SUPSI in temi che riguardano la moda, al quale hanno partecipato 12 studenti, e lo studio della SUPSI sulle attività e interessi delle aziende in ambito di economia circolare.
Non per questo abbiamo trascurato gli impegni ordinari: tra gli altri, è proseguito il Master in Fashion Innovation, di cui vi ha parlato il prof. Carpanzano. Si tratta del secondo Master che abbiamo organizzato con SUPSI per le nostre aziende e il riscontro dei partecipanti è buono: stiamo quindi lavorando per organizzare il terzo Master che dovrebbe partire in autunno, dando continuità alla nostra esperienza fin qui “sperimentale”. Questa nostra attività si inserisce nell’obiettivo di Ticinomoda di promuovere condizioni quadro favorevoli per le aziende.
La formazione è per noi una condizione quadro strategica, decisiva, sulla quale ci siamo molto impegnati in questi anni, lavorando con la Camera di commercio, con le scuole del tessile, e soprattutto con la SUPSI. I corsi di Master sono un tassello importante per il quale ringrazio la SUPSI e in particolare il prof. Emanuele Carpanzano, Direttore Ricerca, sviluppo e trasferimento della conoscenza, e la prof. Silvia Zancarli. Ringrazio anche il nostro membro di comitato Roberto Lombardi, sempre attivo nel raccogliere le richieste delle aziende e i feedback dei partecipanti; e ringrazio i sindacati e la commissione paritetica. Sapete che siamo firmatari di due contratti collettivi di lavoro e abbiamo con i sindacati incontri regolari, con confronti spesso vivaci, come potete immaginare, ma anche costruttivi: per finire riusciamo a collaborare oltre il minimo contrattuale, su progetti comuni importanti, e i Master, sostenuti anche dalla commissione paritetica, sono uno di questi.
Quindi possiamo dire che il nostro lavoro sulla condizione quadro della formazione è proficuo. Non si può purtroppo dire altrettanto delle altre condizioni quadro, sulle quali sosteniamo gli sforzi immani della Camera di commercio. La Camera lavora incessantemente, infaticabilmente, ma l’aria che si respira è tendenzialmente ostile, oso dire sempre più ostile, alle aziende e all’impresa; e il panorama politico, incredibilmente, continua a deteriorarsi. Da qualche anno ormai, ci rendiamo ben conto che lo spirito del tempo, lo Zeitgeist, è cambiato. Ce lo siamo già detto più volte nelle nostre riunioni e assemblee. È difficile individuare fino in fondo le ragioni, cogliere tutte le concause di questo cambiamento del clima sociopolitico. Di sicuro, le gravi incertezze geopolitiche proiettano un’ombra lunga sui nostri paesi e le nostre società: riposizionamenti geostrategici, instabilità, aggressioni, guerre (come se non fossero bastati due anni di pandemia) pesano ben oltre i loro effetti concreti e tangibili. A ciò aggiungiamo che, a livello mondiale, la crescita economica rimane fiacca, nonostante qualche segno di ripresa, e lo spettro dell’inflazione è ancora presente. E potremmo elencare diversi altri fattori che contribuiscono ad alimentare timori, malessere, preoccupazioni diffuse, senso di precarietà e di diffidenza nella popolazione e persino nelle istituzioni.
Le stesse liberaldemocrazie appaiono in affanno. Paure e diffidenze hanno innescato un circolo vizioso di non-scelte e scelte sbagliate che peggiorano la situazione e aumentano la sfiducia, promuovendo disinteresse e immobilismo. Ma proprio in un momento così problematico è necessario trovare risposte, prospettive innovative, progetti immaginosi e fattibili, che guardino al futuro, non si limitino a essere minimi aggiustamenti urgenti su temi contingenti. Va detto e sottolineato che il nostro Paese ha avuto una buona tenuta e sta mostrando una buona resilienza. A maggior ragione dovremmo riuscire a dare più profondità al nostro sguardo: non limitarci a tattiche di sopravvivenza o di distruzione dell’avversario, ma ritrovare e rilanciare un vero confronto politico che guardi al futuro, al lungo termine, oltre l’immediato. Dovremmo riuscire ad aprire un dibattito e confronto serio, schietto, trasparente e approfondito, sulle riforme necessarie al paese, un dibattito teso a creare progetti solidi e praticabili sulle condizioni quadro, sulle premesse del nostro benessere, sull’adeguamento delle nostre strutture ai tempi che cambiano. Oggi sembra invece che il timore paralizzi anche la politica.
Prendiamo solo un piccolo esempio concreto dalla nostra scena politica cantonale: voteremo tra meno di tre settimane su una mini-riforma fiscale. Si tratta di un pacchettino fiscale, rimasto nei cassetti del governo dal 2009, che dovrebbe essere quasi scontato (una volta dicevano che dovrebbe andare come una lettera alla posta), e invece rischia di essere stroncato in votazione popolare. Questa timida riforma è necessaria soprattutto per evitare un aumento generalizzato, per tutti, delle imposte: infatti alla fine del 2024 il coefficiente cantonale d’imposta passerà automaticamente da 97 a 100 punti. Ciò significa che pagheremo 3 franchi in più ogni 97 franchi che paghiamo oggi: senza la riforma questo è un aumento secco per tutti. E, per tutti, la riforma neutralizza questo scatto.
Inoltre, la riforma è necessaria per riportarci attorno alla media intercantonale del carico fiscale. La proposta era stata pensata 15 anni fa, da un gruppo di lavoro incaricato dal Governo e presieduto da Marco Bernasconi, per permettere al Ticino di rimanere tra i cantoni migliori. Però è successo poi che nel frattempo – in questi 15 anni - gli altri cantoni non sono rimasti con le mani in mano e così, oggi, la proposta del governo e del parlamento serve ormai solo a evitarci di essere i peggiori. È stato detto e sottolineato che il momento è estremamente inopportuno. È vero: finanze da risanare, economia a rilento, incertezze e malesseri nel paese. Ma se ci lasciamo paralizzare possiamo solo peggiorare la situazione, perché si farebbero pagare più imposte a tutti, proprio a tutti. Ed è proprio nei momenti difficili che non solo dovremmo evitare di bloccare i piccoli progetti come questo, ma anzi dovremmo pensare, preparare e creare progetti e scelte per il futuro. Tempi avversi non devono frenare, ma stimolare le scelte positive e i progetti importanti: a maggior ragione occorre mettersi al lavoro, con il coraggio dell’analisi, dell’innovazione, delle scelte strategiche. È difficile, ma non impossibile.
Troviamo diversi esempi concreti nella nostra storia ticinese e ne voglio ricordare uno. A metà degli anni Novanta, Il Ticino attraversava una fase drammatica. La crisi economica era strutturale e profonda; ogni giorno si perdevano posti di lavoro (tra il 1991 e il 1996 il PIL reale pro capite stimato ha perso quasi il 10% e sono stati cancellati quasi 20'000 posti di lavoro); l’impennata della disoccupazione sembrava inarrestabile (era quadruplicata in quattro anni, arrivando nel 1996 al 7,6% con oltre 9'000 disoccupati); le finanze pubbliche erano in grave affanno. In quel frangente, il Ticino ha deciso di diventare cantone universitario, varando l’USI e la SUPSI. Quanta diffidenza all’avvio di quell’idea! Le macerie del precedente disegno universitario, caduto in votazione popolare, erano ancora fumanti e il paese era in crisi. Molti ritenevano che il progetto dovesse attendere tempi migliori. Vi furono critiche, discussioni, scontri aperti. Oggi non ricordiamo quasi più i confronti, anche durissimi, della fase preparatoria, ma l’USI e la SUPSI sono state create ben salde anche grazie a quelli e, trent’anni dopo, sono qui, in piena salute, forti di riconoscimenti nazionali e internazionali. La scelta fortemente voluta, dibattuta, contrastata, e infine approvata fu giusta: c’erano voluti senso del cambiamento, immaginazione, coraggio, capacità di argomentare e di ascoltare, di capire e di costruire.
Oggi, quelle situazioni oggettivamente misurabili sembrano meno gravi di allora (a fine aprile la disoccupazione è al 2,5%; sempre a fine aprile, nel 2023 era al 2,3%, nel 2019 al 2,7%; il PIL reale pro capite non crolla; il numero dei posti di lavoro nemmeno), ma vi sono problemi nuovi, prospettive e disagi diversi. Il clima sociopolitico si deteriora e sembra proprio che costruire risposte sia diventato sempre più arduo. Se pensiamo alle discussioni degli scorsi mesi sul preventivo del Cantone per il 2024, approvato a malapena il 7 febbraio 2024 e a quelle sul consuntivo 2023, ancora in corso, dobbiamo dare fondo a tutto il nostro ottimismo per non esser presi dallo sconforto.
E forse è proprio questa la prima emergenza da affrontare: dobbiamo recuperare la volontà e la capacità di confronto costruttivo. Dobbiamo innescare un circolo virtuoso di vero confronto politico. Confronto aperto e serio significa mettere di fronte, appunto, visioni diverse. Non significa rinunciare alla propria visione e nemmeno annacquarla, anzi. Ogni parte deve dare le ragioni plausibili, trasparenti e anche complesse del proprio giudizio e ascoltare quelle degli altri. Su questo lavoro approfondito, impegnativo e faticoso si costruiscono le scelte per il futuro. Vediamo bene che qui è in gioco la stessa libertà di espressione, braccata da neo-conformismi e da veti incrociati dei populismi di tutte le tinte; la libertà di espressione paradossalmente minacciata dalla comunicazione contemporanea (di enorme quantità, ma rapida e breve) che facilita la superficialità.
E su questo aspetto potremmo aprire un lungo capitolo, perché giustamente il tema è oggetto di studio preoccupato degli specialisti, anche quelli dell’USI. Ma non è questa la sede. Diciamo solo che perlomeno la politica deve ritornare a dibattere e confrontarsi seriamente: sui temi concreti, sui progetti di medio e lungo termine, sulle risposte da dare ai problemi del paese. Il mondo politico deve riconquistare il suo spazio di libertà, coraggio e tempo per approfondire. Nel nostro piccolo territorio ticinese, siamo nel primo anno dopo le elezioni: difficile immaginare un momento più propizio per andare in questa direzione. Che ci piaccia o no, la politica è responsabile di una buona parte delle condizioni del benessere di oggi, ma soprattutto di quelle di domani: ci vogliono coraggio, immaginazione, progettualità confronto.
* Presidente Ticinomoda (discorso tenuto durante l'assemblea annuale)