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Sanità
05.09.20 - 17:140

Giovanni Pedrazzini sull'ospedale universitario: "Non dovrà essere un edificio, ma un concetto"

Intervista al futuro primario dell'Ospedale del Cuore sulla facoltà che apre a metà settembre. Con un appello alla politica: "Tenga conto delle grandi opportunità che si sono create in campo medico negli ultimi vent’anni"

di Marco Bazzi

LUGANO - Di creare una facoltà di medicina in Ticino si parla da molto tempo. I primi timidi accenni risalgono alla metà degli anni Novanta, quando nacque l’Università della Svizzera Italiana. Ma allora, anche solo ipotizzare una facoltà di medicina a sud del Gottardo faceva strabuzzare gli occhi ai più, e chi coltivava quel sogno era considerato un sognatore, se non un mitomane. Anche il Cardiocentro dovette lottare, per nascere, contro questo diffuso complesso di inferiorità che il Ticino aveva nei confronti dei grandi Cantoni: Zurigo, Basilea, Ginevra…

Ma, anno dopo anno, le idee e i progetti hanno preso forma e si sono finalmente tradotti in realtà, anche grazie all’abbandono di quella perniciosa mentalità di “sudditanza” che troppo a lungo ha frenato il Ticino. Così, nei prossimi giorni, il 14 settembre, per la precisione, 50 aspiranti medici parteciperanno al primo Master della nuova Facoltà di Biomedicina dell'USI.

La Facoltà, guidata dal decano, il professor Mario Bianchetti, si è costituita nel 2014 con l’obiettivo di contribuire alla soluzione di un importante problema nazionale: la penuria di medici formati in Svizzera, e in questi sei anni il progetto è stato affinato fin nei minimi dettagli. Costruire una facoltà universitaria, soprattutto in una disciplina complessa e in costante evoluzione come la medicina, non è cosa che si fa dall’oggi al domani.

E a proposito di Cardiocentro, il professor Giovanni Pedrazzini, che dal 23 dicembre ne diverrà primario, è stato tra i più convinti promotori della nuova Facoltà. Presentando il programma, il cardiologo ha sintetizzano in due frasi la via che il Ticino intende seguire: “Gli studenti non impareranno la medicina, ma ad essere medici”, e “al loro primo giorno di lavoro dovranno saper lavorare”. Non sono slogan: è l’obiettivo che i docenti del Master intendono centrare.

Il Master in Medicina è un programma di formazione clinica della durata di 3 anni che a pieno regime coinvolgerà una settantina di studenti in possesso di un diploma di Bachelor in Medicina, provenienti principalmente dalle università partner dell’USI: ETH di Zurigo, Università di Basilea e Università di Zurigo. Il Master combina in modo equilibrato i più moderni strumenti didattici e le nuove tendenze della formazione medica.

Gli obiettivi sono preparare gli studenti all’esame federale in modo adeguato e rigoroso e – soprattutto – formare futuri medici competenti e capaci, pronti alle sfide di un settore in rapida evoluzione.

La struttura del Master, che coinvolgerà anche i medici di famiglia che si sono offerti volontari per partecipare alla formazione degli studenti, è stata progettata per offrire una formazione innovativa e motivante, e si fonda su alcuni pilastri: grande spazio alla pratica clinica, interazione con molti pazienti, discussione di casi clinici ed esercizi, dialogo costante e regolare con i professori, grazie a una equilibrata proporzione studenti-docenti, un curriculum focalizzato sulle situazioni concrete che un medico è chiamato ad affrontare. Gli studenti, insomma, imparano facendo e si ritrovano così - in modo attivo - al centro del processo di apprendimento. Insomma, un approccio molto pratico e concreto all’insegnamento accademico.

Professor Pedrazzini, che ruolo avrà il Cardiocentro nel progetto?

“Il Master si sviluppa su tre anni, quindi nei tre anni successi il Bachelor che porteranno gli studenti al conseguimento della laurea in medicina. Di questi tre anni due saranno dedicati all’insegnamento clinico, che abbiamo strutturato in moduli di quattro settimane. Noi saremo i primi, il 28 settembre, insieme ad altri due moduli, a iniziare l'attività didattica. Stiamo finalizzando i preparativi per le lezioni e per l'attività clinica con gli studenti. Siamo anche stati coinvolti direttamente nella preparazione e nel disegno di questo Master, quindi c'è molto Cardiocentro nella visione del progetto”.

Come si svolgerà concretamente il master?

“Arriveranno una cinquantina di studenti, che verranno accolti al centro sportivo di Tenero e successivamente suddivisi in tre classi che inizieranno parallelamente tre moduli diversi, di cui uno sarà il cosiddetto modulo “circulation”, durante il quale verranno affrontate tutte le tematiche in ambito cardiovascolare. L'insegnamento avverrà al campus dell’USI, con le classi divise in gruppi, però ci sarà sin da subito un giorno e mezzo a settimana di attività clinica negli ospedali, e questa è una innovazione importante rispetto a tutti gli altri modelli svizzeri. I nostri studenti entreranno sin dal primo giorno in corsia e faranno da subito molta attività clinica”.

Gestire decine di studenti all'interno di strutture ospedaliere non sarà facile. Come avete pensato di fare?

“Lo sappiamo, sarà molto impegnativo. Pensi che al solo Cardiocentro sono tra i 20 e i 25 gli specialisti coinvolti nei diversi ambiti, dall'insegnamento all'attività clinica. Ma devo dire che da parte dei miei colleghi c’è stata una grande disponibilità nel partecipare a questo progetto”.

Da dove provengono gli aspiranti medici?

“Al momento l'arrivo degli studenti è stato regolato da una convenzione firmata nel 2015 tra l'Università di Basilea, il Politecnico e l’Università di Zurigo. Da Basilea arriveranno 14 studenti, poco meno di 40 dall'ETH, mentre per il momento l'università di Zurigo non ci sta mandando studenti. È un po’ peccato, d’altra parte gli studenti che studiano e vivono a Zurigo preferiscono restare lì o iniziare il master a San Gallo o a Lucerna, dove sono state aperte, per così dire, delle succursali universitarie, mentre noi siamo a pieno titolo una facoltà”.

Professore, come vede gli sviluppi futuri del Master? L'idea di un ospedale universitario ticinese, per esempio

“L'ospedale universitario è un concetto teorico, non è legato ad un istituto o ad un edificio, ma alla collaborazione a più livelli di servizi che lavorano in ambito accademico nei settori della formazione e della ricerca. Credo che in Ticino tra 5 o 10 anni avremo un ospedale universitario ma, ripeto, non è la definizione di un edificio bensì di un’entità. Bisognerà quindi definire le modalità di collaborazione con l'USI e stabilire dei criteri minimi dei diversi servizi per rivendicare lo statuto di ospedale universitario”.

 Insomma, non occorre una struttura unica…

“Non necessariamente. Questa è la prassi adottata a Zurigo o a Berna, ma non è la definizione di ospedale universitario”.

Ma occorre una massa critica di pazienti per ottenere questo statuto?

“No, come non occorre un edificio singolo, un grande ospedale centralizzato, per intenderci. Ci vogliono invece una serie di condizioni che dovranno essere valutate in maniera collegiale tra l'Ente Ospedaliero, l’USI, la politica e il Consiglio di Stato in particolare. Io credo che dovrebbe essere un obiettivo comune quello di dire “tra un certo numero di anni intendiamo dar vita a un ospedale universitario”, ma le condizioni dobbiamo definirle strada facendo, perché anche a livello nazionale non ci sono un regolamento o dei criteri precisi da rispettare. Ci sono una serie di condizioni che andranno definite. È su queste che dovremo lavorare tutti insieme”.

Quindi si potrebbe pensare di avere una facoltà di medicina completa in Ticino nei prossimi 5 o 10 anni?

“Avere una facoltà di medicina completa significa aggiungere il Bachelor, quindi gli anni di formazione pre-clinica che non implicano necessariamente la presenza di ospedali o di servizi accademici, ma piuttosto di centri di formazione nell'ambito delle scienze di base: biologia, fisica, chimica… a livello universitario, s’intende. Quindi è uno sforzo che va fatto in una direzione diversa e anche qui dovremo attivarci. Dovremo riflettere sulla questione del Bachelor, anche se in termini diversi rispetto al master perché, appunto, le esigenze sono diverse”.

Lei è già da un paio d’anni professore ordinario all’USI, ma l’insegnamento inizia solo ora. In questo periodo come avete gestito la costruzione del progetto?

“Fino ad oggi i professori di ruolo, il cosiddetto “Consiglio dei professori” si sono occupati prevalentemente di questioni amministrative e della preparazione del Master, della costruzione di questo enorme edificio che serve a preparare gli studenti a diventare medici. È un grande cantiere, una facoltà di medicina è una struttura molto complessa, con la parte dell'insegnamento, quella della ricerca, eccetera. Quindi fino ad oggi abbiamo definito e portato avanti tutta una serie di attività preparatorie. I corsi inizieranno il 14 settembre e avremo tutti delle ore di insegnamento, ma non saranno coinvolti solo i professori di ruolo: saranno tra gli 80 e i 100 i docenti coinvolti nel Master”.

Con lo spettro del Covid-19 che ancora aleggia nell’aria non sarà facile gestire il Master. Come vi state preparando alla situazione di incertezza legata a una possibile ripresa dell’epidemia?

“È chiaro che dobbiamo essere pronti a soluzioni alternative, e le abbiamo immaginate. Il piano A al momento prevede un insegnamento al campus e l'attività clinica. A dipendenza di come andrà l'epidemia tra l’autunno e l’inverno dovremo varare un piano B, e anche a un piano C. Una soluzione potrebbe essere quella di convertire le lezioni al campus in lezioni con insegnamento a distanza, anche se il distanziamento sociale con le nuove aule non dovrebbe essere un problema. L'attività ospedaliera in ogni caso continuerà, gli studenti che frequenteranno gli ospedali continueranno a farlo normalmente, perché faranno parte a tutti gli effetti del corpo medico e quindi continueranno a lavorare anche se il virus riprenderà forza. Il piano C, invece, riguarda l’ipotesi di un nuovo lockdown. In questo caso dovremo ripensare parte del semestre autunnale, anche perché cambierebbe l'attività clinica delle strutture e in quel momento andranno trovate delle soluzioni ad hoc. Al momento non le abbiamo ancora, ma le università svizzere hanno continuato a preparare gli studenti anche nel periodo primaverile, malgrado il lockdown, e questi studenti sono comunque arrivati agli esami”.

Auspici per il futuro nell'ambito ospedaliero ticinese, in generale? Non so… tipo che la politica ci metta meno il becco, che segua le raccomandazioni elaborate dai tecnici, dagli scienziati e dai medici?

“Guardi, torno per un istante alla questione dell'ospedale universitario: se il Ticino ha realmente l'ambizione di crearlo entro un certo numero di anni, dovranno esserci condizioni di collaborazione e di comunicazione che vanno al di là delle posizioni politiche, dovranno esserci una forte collaborazione tra pubblico e privato e una visione condivisa. Il mio auspicio è che ci sia una visione comune sul futuro della medicina ticinese e non solo su una parte della medicina... Che la politica tenga conto delle grandissime opportunità che si sono create in campo medico negli ultimi vent’anni... In questi vent’anni il panorama medico sanitario in Ticino è cambiato radicalmente e io spero che si persegua in maniera più collaborativa questo sviluppo”.

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