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Cronaca
08.12.16 - 18:300
Aggiornamento: 21.01.22 - 14:40

9 febbraio, l'UDC rinuncia al referendum, Romano si indigna con PLR e PS, OCST alza la voce

Rösti ha detto che il suo partito non lancerà un referendum, il pipidino giudica «irrispettosi coloro che non danno la precedenza a chi è in disoccupazione o assistenza». OCST: «e i livelli salariali?»

BERNA - Il 9 febbraio, sempre e comunque. Continua a parlarne il Parlamento, ne parlano i politici. Lo ha fatto ieri sera il presidente dell'UDC nazionale Albert Rösti, che ha affermato in tv che il suo partito non lancerà un referendum contro la legge di applicazione che sta emergendo dalla sessione alle Camere. Secondo i vertici del partito democentrista, il Governo non attuerebbe in ogni caso una legge più severa, e dunque il popolo verrebbe chiamato alle urne per niente. Intanto, a Berna si continua a discutere. Chi non molla è Marco Romano, che anche ieri ha difeso il modello PPD, ma ogni giorni, attraverso i commenti sui social, appare sempre più scoraggiato. Oggi ha infatti postato: «Continua l'esercizio arrogante, incongruente e inconsistente della maggioranza PS-PLR / la legge di applicazione che ci stanno imponendo è una farsa! Le chicche delle giornata: il PS che non vuole considerare il dumping salariale come motivo per prendere misure correttive; fuori dal mondo, PS-PLR che non vogliono dare la preferenza alle persone in disoccupazione o in assistenza rispetto a quelle semplicemente in cerca di lavoro; irrispettosi!». Un discorso che ricalca, in fondo, quello contenuto in un comunicato inviato in redazione da OCST. «Nell’ambito della discussione sull’applicazione dell’articolo costituzionale approvato dal popolo il 9 febbraio 2014, l’OCST ritiene che manchi un tassello fondamentale: quello dei livelli salariali. Questo aspetto va sottolineato e richiamato perché è all’origine delle distorsioni del nostro mercato del lavoro», scrive infatti il sindacato, ricordando che lo scarto salariale fra residenti e frontalieri è del 25,6%, il più marcato a livello nazionale, date le condizioni del mercato italiano che permettono, prosegue la nota, di accettare degli stipendi più bassi rispetto ai ticinesi. «La questione salariale è centrale ed è l’unica via veramente efficace per difendere il mercato del lavoro dal dumping salariale ed aumentare in modo consistente le possibilità dei residenti di trovare un’occupazione. Eppure questo, che è il nodo cruciale della questione, non viene preso in considerazione sebbene sia una via di intervento che non intacca i rapporti con l’Unione Europea». «Quanto potrà essere utile chiedere ai datori di lavoro di fare alcuni colloqui ai lavoratori residenti iscritti agli URC, specialmente se questa norma entra in vigore quando i tassi di disoccupazione saranno molto distanti da quelli attuali? Quanto questa norma potrà incidere sulla pressione cui sono sottoposti i salari ticinesi che, lo ricordiamo, sono il 17% più bassi della media svizzera? Probabilmente poco e sicuramente meno dell’introduzione di contratti collettivi che difendano le condizioni lavorative e salariali», si chiede OCST. «Il nostro Paese, alla cui ricchezza ha contribuito anche un solido partenariato sociale, vive oggi una cultura imprenditoriale e politica impoverita di questo importante aspetto. Lo dimostrano i contratti collettivi trentennali disdetti senza nessun motivo con l’ostentazione del desiderio di un rapporto diretto con i propri dipendenti. Lo dimostra la diffusione della precarietà. Lo dimostra il grande numero di abusi. Il partenariato sociale e la responsabilità sociale delle imprese devono essere invece rinnovati in vigore ed efficacia».
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