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Cronaca
09.04.20 - 14:430

"Questa è una guerra e non è finita. Se anche si rimanesse due mesi a casa, sarebbe niente in confronto all'inferno da cui sto uscendo"

Luca Viscardi di Radio Numer One sta per tornare a casa: "Cosa rimarrà del Coronavirus? Anche un rimpianto: non aver potuto vedere i volti di chi mi ha curato. Non dimentichiamo la solitudine, vi racconto del nonno a fianco a me..."

MILANO - Luca Viscardi, deejay di Radio Number One, è una delle persone che si è purtroppo ammalata di Covid. Aveva lasciato la sua testimonianza sui social, come fanno in diversi, per raccontare che no, non è un'influenza e che sì, ti cambia la vita, dunque di fare attenzione e di attuare tutte le misure possibili e immaginabili per non cadervi vittima. 

Avevamo raccolto il primo "capitolo" delle sue parole, ora proseguiamo, estrapolando alcuni pezzi dai giorni successivi che ha narrato come in un diario.

"Sono stato in ospedale 26 giorni: io ho subito pensato di avere il fisico che sembra una mozzarella andata a male e invece mi dicono che la mia degenza sia nella norma, se non addirittura un pelo inferiore a quella di altri. Giusto per capire come funziona quella che “tanto é poco più di un’influenza”. Chi lo ha detto dovrebbe andare in quarantena per l’eternità su un’isola senza luce e gas, perché molti dei morti di questo mese pesano sulla coscienza di quelle persone".

Non manca una polemica velata, che è comune a moltissime persone che poi, dopo aver chiamato invano aiuto per giorni, si sono ritrovati in ospedale: "Piccola nota a margine: ho chiesto ai medici perché io abbia subito un impatto così forte con la malattia. Mi hanno spiegato che quando sono arrivato avevo la polmonite in stadio molto avanzato, sono arrivato tardi. Ho passato dieci giorni a casa chiamando i numeri di emergenza, segnalando di avere un collega già ricoverato, fiato corto e dolori ai polmoni. Mi rispondevano di chiamare se fossi peggiorato. Ne riparleremo: ma é chiaro che se é vero che medici, infermieri, OSS negli ospedali sono straordinari e quasi martiri, chi ha gestito l’emergenza lo ha fatto da dilettante allo sbaraglio. Vi ricordo che la sanità é gestita dalle regioni".

"Ho di fianco a me in camera un simpatico signore di 80 anni, é un ex sportivo, non é grave ed é ad uno stadio contenuto della malattia. Era qui da un paio di giorni quando mi ha spiegato di avere il telefono del figlio che non sapeva usare. Glielo ho caricato, l’ho aiutato a togliere il pin della sim che per lui era un ostacolo e gli ho messo sulla schermata due icone per chiamare direttamente il figlio o la moglie. Ha subito fatto il numero del figlio, che dopo qualche minuto gli ha passato la nipotina di 8 anni: dopo un secondo che ha sentito quella vocina di bimba é scoppiato a piangere, non riusciva più a parlare e ha chiuso la telefonata. Gli ho chiesto cosa fosse successo, mi ha raccontato che non vede Alice ed Andrea, i suoi nipotini, da un mese e mezzo. Il cuore delle sue giornate, della sua vita, erano le passeggiate al parco e il tempo passato con loro tutti i giorni. La sera, gli hanno recapitato in ospedale un pacchettino con un disegno dedicato a lui dei bimbi, é stato un altro momento di commozione intensa. Il covid19 é anche questo: non é solo dolore fisico, sofferenza, strazianti separazioni dai genitori senza un’ultimo addio, ma é anche solitudine. Ho la sensazione che questo particolare aspetto stia passando un po’ sotto traccia e possa invece essere il terzo vero problema odierno dopo quella della salute e quello economico. Non dimentichiamolo". Un appello sensatissimo!

E infine, il ritorno a casa. “Per me lei é guarito, può andare a casa”, ha detto il medico. Mi é sembrato di essere stato assolto dall’accusa di un crimine non commesso, una liberazione pazzesca. Ho come la sensazione di aver terminato un match di box di 31 riprese, una per ogni giorno passato in ospedale e sono ancora stremato. Sono andato al tappeto un paio di volte, ma il colpo del KO l’ho dato io! Sono davvero felice, anche se il percorso non é terminato. Rimane il segno di aver perso molti kg e di non avere forze, bastano 5 minuti in piedi per sentire la necessità di trovare una sedia, ma per il resto adesso va davvero meglio".

"Cosa rimarrà di tutto questo? Lo smarrimento dei primi giorni, la sofferenza nei volti del pronto soccorso, le lacrime degli anziani senza la famiglia viste in ospedale, l’umanità straordinaria dei medici e del personale ospedaliero, ma anche un rimpianto. Non riuscirò a riconoscere nessuno dei volti di chi mi ha aiutato, sostenuto, incoraggiato, lavato e sfamato nei giorni più cupi. Il personale ospedaliero porta due mascherine, gli occhiali di protezione e adesso anche una sorta di visiera da minatore, ha due o tre camici usa e getta uno sopra l’altro, indossa calzari “usa e getta” e sempre due paia di guanti di lattice. É impossibile vedere i tratti somatici di chi si occupa di te, un vero peccato perché non avrò mai l’opportunità di dire ancora un volta grazie, magari con un incontro occasionale al supermercato".

Viscardi si sta esponendo anche su radio, tv e giornali per sensibilizzare. "Vedo ancora superficialità, la voglia di uscire per la grigliata di Pasquetta, la preoccupazione su dove e come si andrà in vacanza. Questa é una guerra, non é finita: state attenti, proteggete voi stessi, le persone che amate e anche quelle che non conoscete, è un dovere morale di tutti. Se anche si rimanesse in casa due mesi, sarebbero comunque niente rispetto all’inferno da cui sto uscendo". 

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