LUGANO - I molinari dicono la loro, attaccando la Polizia e raccontando cosa è successo l'8 marzo, a loro avviso, finendo poi con l'insistere sul fatto che ad ogni elezione si parli del CSOA.
"A Lugano, lunedì 8 marzo, come CSOA Molino abbiamo chiamato un corteo autodeterminato e ribelle contro patriarcato, razzismo e islamofobia! Poiché – ricordiamo – è proprio nel patriarcato che individuiamo le radici storiche e strutturali delle oppressioni e di ogni forma di discriminazione e razzismo. Una manifestazione chiamata l’8 marzo, anche per riportare contenuti altri rispetto a chi l’ha trasformata in un vuoto giorno di festa e di celebrazioni funzionali al sistema capitalista", si legge nella lunga nota. "Un corteo, nato inoltre anche in previsione della votazione di domenica 7 marzo, riguardante la dissimulazione del volto. Come sempre non ci interessa entrare nelle logiche istituzionali e nel teatrino delle votazioni, ma abbiamo comunque ritenuto fondamentale mostrare la nostra contrarietà. Perché – per chi non se lo ricorda o non lo vuole ricordare quando si parla a vanvera di “democrazia” – sono proprio le leggi razziali (di cui la legge “anti-burka” potrebbe esserne una versione moderna), il fascismo e il nazismo a essere nate nei democratici parlamenti e nel vuoto e strumentale concetto di legalità. Ma una legge se ingiusta la si contesta. E siamo convinte che le leggi razziste, patriarcali e discriminatorie debbano essere contestate come si vuole, dove si vuole e in qualsiasi modo!"
Ma per loro, "quella di lunedì è stata una non-manifestazione partecipata e densa di interventi (...). Un centinaio di persone hanno percorso la non-manifestazione, bloccata in stazione: ragazzx che attraversano il Molino, persone della comunità curda e di varie altre comunità, culture e provenienze, rappresentanti di collettivi di solidarietà con migranti, giovani studentesse e studenti, bambine e bambini".
E poi? "Se l’idea era quella di un corteo mascherato, comunicativo e determinato per attraversare una delle città più controllate e sorvegliate della svizzera, la sua realizzazione – visto l’ingente dispositivo repressivo messo in piedi dalle autorità (per quanto sbirri e media di regime millantino la manifestazione non autorizzata sia avvenuta) – è stata resa impossibile. Un dispiego di polizia in antisommossa prevedibilmente provocatorio, ha accolto e circondato fin da subito, in una situazione di nervosismo e di incertezza, le attiviste e i solidali partecipanti. L’intento è apparso da subito assai chiaro e il dispositivo un chiaro monito: oggi nessuna manifestazione -dietro chiaro ordine del Municipio cittadino – sarebbe dovuta svolgersi per le strade di Lugano. E poco importa il grado di risposta delle persone presenti: da quell’accerchiamento nessunx ne sarebbe dovuto uscire indenne. Sia stato esso un controllo d’identità, una perquisizione, una provocazione. Fino ad arrivare all’ennesimo pretesto per attaccare l’esperienza di autogestione del Centro Sociale".
Continua il racconto: "In questo contesto, e dopo più di un’ora di blocco, il tentativo di avviarsi verso l’unico buco lasciato libero dal dispositivo (circa 70 agenti in assetto antisommossa!), non era nient’altro che la voglia di tornare a respirare e di provare a portare per le strade cittadine le rivendicazioni dell’8 marzo. Quella che invece è stata definita – da sbirri e media – come una carica delle manifestanti, sono stati i 5 e più passi necessari verso il cordone di polizia, proprio per uscire dall’accerchiamento. E il cui risultato sono state manganellate, spray al pepe e calcioni vari. Nella giornata dell’8 di marzo, a Lugano – città dove alcuni anni fa il sindaco leghista Marco Borradori riceveva sorridente l’omaggio floreale dell’imprenditore sessista e machista Philippe Plein – più donne sono state picchiate, toccate, spintonate, allontanate, insultate, sprayate, manganellate, ammanettate da agenti di polizia maschi. E a una giovane ragazza fermata è stato pure strappato il velo (hijab)!".
Per proseguire, "fino alla farsa finale: le ultime 40 persone vengono accerchiate da 50 sbirri in tenuta antisommossa. La polizia manganello alla mano – dopo essersi visto rifiutato l’ordine “di uscire unx alla volta documento in mano e mani sulla testa” (sic!) – in un vortice di violenza gratuita e vendicativa, si rende operativa con vari blitz di sequestro per prenderci unx alla volta, manganellando pesantemente, pestando, buttando a terra e ammanettando. Con tutto il corollario di insulti denigratori, mani nel naso e calci ben piazzati mentre si è schiacciati a terra, faccia premuta sull’asfalto, da più agenti".
"Non ci stupisce certo il trattamento dell’apparato repressivo dello stato, che di fatto ben sappiamo si fonda su controllo e violenza. Così come non ci stupisce l’ennesimo teatrino messo in piedi contro il Molino alla vigilia di ogni campagna elettorale. Tutte scene già viste nel 2012, nel 2016 e nel 2020, sempre trovando qualsiasi scusa per infangare il Molino. Terminate poi le elezioni, silenzio assoluto: finché si sta chiusi dentro le mura dell’ex macello, senza disturbare la città vetrina, tutto fila liscio…", insistono i molinari. "
È comunque sempre divertente, quando si vive da protagonistx determinati fatti, leggere e ascoltare narrazioni, opinioni e superficiali analisi di giornalisti e politicanti di ogni partito. Una comicità piuttosto tragica, vista la povertà degli argomenti. E sarà che le bettole sono chiuse, sarà che gli aperitivi non si possono fare, ma i vari interventi somigliano sempre più a chiacchiere da classico “Bar Sport” di provincia,più che a prese di posizione di chi vanta di promuovere versioni imparziali, come i giornalisti, o da chi, da bravo politicante, sfrutta la propria autorità per sputare sentenze a vanvera.
"All’interno delle istituzioni il nervosismo è latente e la voglia di andarci pesante sembra accertata", si legge ancora. "Falta lo que falta dicevano gli antichi. Il 2021 saranno 25 anni dal violento sgombero della festa di primavera al parco del Tassino che portò all’occupazione dei Mulini Bernasconi e i 150 anni della Comune di Parigi. Oggi più che mai, con l’aggravarsi dell’oscurità, con i pericolosi ritorni della storia e con un futuro le cui possibilità liberatorie saranno sempre più ridotte, occorre ispirarsi e riprendere quelle esperienze rivoluzionarie, realmente emancipatrici e di rottura volte alla creazioni di altri mondi possibili".
Con il finale, deciso: "Con determinazione, complicità e tanto amore. Ma – se necessario – anche con sassi e bastoni. Ci si vede per strada. Qui siamo e qui restiamo".