LUGANO – "Il Molino ricorre. Il Molino non si vende, il Molino non claudica. Il Molino non smette di far girare le pale". La seconda presa di posizione del CSOA Il Molino lancia un messaggio piuttosto chiaro. "Qui siamo e qui restiamo. Ci vediamo nelle strade", è l'ennesimo segnale lanciato alle autorità politiche a nove giorni dalla scadenza della proroga della disdetta.
"Sentire oggi – si legge – straparlare le due old foxes che loro, l’autogestione buona, quella fatta di proposte culturali e aggregazione, la rivendicano e la condividono, è semplicemente aberrante. Marco Borradori – oggi invecchiato a dismisura, nervoso e impacciato più che mai, nonostante il sorriso al vento – da quel lontano 2002, in cui diceva di non conoscere l’autogestione, è semplicemente rimasto al blocco di partenza: il nulla assoluto. Lo sceriffo Michele Bertini è invece dall’inizio della sua carriera politica che fa campagna sul Molino. E, tralasciando che stentiamo davvero a capire di che legittimità possa godere tal personaggio che non dovrebbe neppure più essere al posto che occupa, ci chiediamo che problemi abbia mai il ragazzo. Chissà che il rientro nel privato e i tanti soldini che andrà a farsi gli addolciscano un po’ la pillola e l’astio".
"Ci chiediamo d’altronde, come dal punto di vista della cara “democrazia” su cui tanto fanno leva, tutto questo sia possibile. Disinformazione e bugie, una disdetta illegale e modellata a seconda della situazione, frasi senza senso del sindaco sui tempi di sgombero. Insomma in un ipotetico concetto di “democrazia”, la prima domanda che dovrebbe sorgere, dovrebbe essere: ma ci state dentro? Ma di che leggi, convenzioni, disdette, sgomberi, elezioni parlate? Tutto quello che state facendo le scavalca allegramente, infischiandosene del vostro caro concetto di “legalità” al quale tanto vi appellate. In un paese realmente “democratico”, mass media, stampa, personalità, intellettuali, chiederebbero per lo meno loro delle spiegazioni chiare rispetto a quello che sta avvenendo. Ma tant’è. Pensare di risedersi oggi a un tavolo con l’attuale Municipio, risulta per noi semplicemente impraticabile. Imbarazzante. Sarebbe farci violenza e lo rifiutiamo. E non si tratta di paura o di non essere in grado di sostenere il confronto, si tratta piuttosto di non scendere a un livello così infimo di autorispetto. La speranza è pure che questa pratica cominci a essere più diffusa, perché il teatrino elettorale e gli interessi dietro tutto questo circo, vanno rifiutati. Specialmente all’interno dell’attuale contesto".
E ancora: "D’altronde la stessa “violenza”, sulla quale si costruisce la narrazione dello sgombero, rispetto a due situazioni (una convocata dal Molino, l’altra no), nelle quali, in realtà, è successo poco o niente, è assai emblematica: a ben vedere parliamo di “normali” bagatelle e tensioni di mondi diversi che in qualsiasi città del mondo avvengono quasi settimanalmente. E di cui nessuno se ne stupisce più troppo e soprattutto non ci costruisce sopra un’intera campagna elettorale. D’altronde con che faccia, lo stesso sorridente personaggio che con la violenza ci va a braccetto – quello che abbraccia, con Norman Gobbi, il camerata Mascetti in piazza Riforma, quello che invita l’assassina Tzipi Livni già denunciata dal tribunale dell’ONU per crimini di guerra all’Israel Day a Lugano e il cui giornale di partito titola “Rom raus o campi di lavoro” – si può permettere di parlare di violenza? Decidiamo quindi da soli la nostra strada".
"Come fatto, con l’esperienza di reale e orizzontale democrazia partecipativa, con la massiccia assemblea svoltasi in Foce due settimane fa. E - per coerenza, per rispetto e per amore - decidiamo che con l’attuale Municipio non ci vogliamo più avere niente a che fare (ma ve lo ricordate Foletti che ci accusava di non pagare le bollette per far passare il museo di storia naturale?). Coerenza nostra, a tutte e tutti noi dovuta. Rispetto verso tutte e tutti coloro – donne, uomini, otroas, bambini e anziani - che frequentano e attraversano questo spazio. E amore per la possibilità di autodeterminarsi e di decidere in autonomia i nostri percorsi. Ma allo stesso modo decidiamo di fare ricorso. Perché sappiamo bene che, tra tutti i lamenti vicini e lontani, c'è un fremito che scuote il mondo intero: il singhiozzo della terra. E non la terra come polvere, il colore che siamo, ma tutto: le valli e le montagne, il vento, le acque, le piante, gli animali, le persone. Ma la terra non si rassegna, resiste anche, si ribella a questa morte. E allora capiamo che non è che la terra sta singhiozzando, ma che ci sta chiamando. E ci chiama a lottare contro la morte, a lottare per la vita. Facciamo ricorso ai nostri corpi. Alla nostra fantasia. Alla nostra determinazione. Ricorso alle nostre forze. Alla solidarietà locale e a quella internazionale. Alle complicità. Ricorso alla lotta, al conflitto, all’autodeterminazione, alla libertà", continua la nota.
"Non un ricorso giuridico possibilmente imboccato ma un ricorso politico, sociale e culturale. Diretta emanazione dell’espressione – discontinua, alternata, infuocata, partecipata, degna e ribelle – che abbiamo saputo emanare in maniera collettiva e mai doma in questi 25 anni. E quel giorno, infine, verrà".