LUGANO - Una donna che oggi ha 64 anni ha raccontato al CdT la sua drammatica storia di abusi subiti da parte di un sacerdote di Lugano, il cui nome il quotidiano ha scelto di rendere pubblico. Si tratta di Don Luigi Cansani, deceduto nel 2017 e allora capo cantore e organista nel seminario della diocesi e addetto all’insegnamento del canto gregoriano.
Proprio nell’ambito dell’insegnamento avvennero gli abusi, in quanto i genitori della donna - che allora era una bambina di soli 7 anni - incaricarono il prelato di impartire lezioni di pianoforte a lei e a suo fratello.
La protagonista di questo dramma si è “riconosciuta” leggendo il rapporto sugli abusi nella Chiesa svizzera pubblicato nei mesi scorsi dall'Università di Zurigo, e così ha deciso di rendere pubblica la propria testimonianza.
“Sono nata in Ticino nel 1959 in una famiglia stimata e conosciuta - racconta la donna al CdT -. Ho ricevuto un’educazione cattolica abbastanza severa, come si faceva nelle famiglie praticanti in quegli anni…”. I ricordi dell’asilo e dei primi due anni di scuola sono felici, fino a che “Un giorno, dovevo avere all’incirca 7-8 anni, ci mandarono da un prete-musicista che dava lezioni private in una struttura cattolica poco lontana (…) Andavamo da soli in questo edificio (…) Mio fratello si metteva al piano, il 'maestro' si sedeva accanto a lui. lo stavo in piedi accanto al 'maestro', a guardare. Dovevo stare in piedi ad ascoltare mentre il 'maestro' mi violentava con la sua mano sotto la gonna. Ho il ricordo molto nitido del dolore fisico, e la coscienza che mi stava accadendo qualcosa di tremendo. A lezione finita, nel piccolo corridoio il 'maestro' mi guardava beffardo, come per dirmi 'se parli, vedrai', strusciandosi contro di me per lunghi istanti. Infine, ci congedava”.
Un racconto sconcertante dal quale si evince il tormento e la frustrazione per quanto la bambina stava vivendo, senza possibilità di scappare o chiedere aiuto. “Provavo una sensazione di solitudine assoluta, come se fossi piombata in una realtà nella quale avevo perso tutti i miei punti di riferimento. Ero in un tunnel molto buio”, prosegue la donna. “Diventai una bambina silenziosa, soffrivo di incubi e insonnia, avevo paura di restare sola la notte nella mia camera (…) Gli adulti mi spaventavano e la mia vita interiore diventò molto difficile”.
La settimana scorsa, la vittima protagonista di questa triste storia ha incontrato monsignor Alain de Raemy, amministratore apostolico della diocesi di Lugano. “Nessuna vendetta, nessun desiderio di rivalsa - assicura la donna -. Ho deciso di parlare perché vorrei incoraggiare anche altri a farlo. Prima di leggere il rapporto dell’Università di Zurigo credevo di avere l’animo in pace, mi sembrava che fosse così. Ma ho capito che non era vero. Tirare fuori la verità serve, mette in moto un processo di liberazione che può essere utile. Soprattutto, può aiutare a fare in modo che certe cose non accadano più o succedano il meno possibile. Sono stata molto ben accolta e monsignor de Raemy si è rivelato una persona molto aperta e disponibile”.
Su Don Cansani, che fu fermato dalla giustizia civile, imprigionato e condannato ma poi rilasciato e poté tornare alle proprie mansioni di insegnante sebbene non con i bambini, monsignor de Raemy afferma: “All’epoca, purtroppo, non si agì come si farebbe oggi. Leggendo il dossier ho visto che, dopo l’espiazione della condanna civile, il vescovo decise che il prete fosse attivo solo nell’ambito musicale, mai con bambini o persone isolate e sotto costante controllo del suo parroco. Oggi la decisione sarebbe assai più radicale. Non so cosa sia stato comunicato allora; tuttavia, posso ribadire che oggi la Chiesa prenderebbe decisioni ben più chiare”.