NEUCHÂTEL – Spunta una ricerca destinata a far discutere sul tema dei frontalieri. L’ha pubblicata swissinfo qualche giorno fa, oggi l’ha ripresa La Provincia di Como, con evidente soddisfazione.
“Gli slogan e le consultazioni popolari volute dai partiti che puntano ad alimentare le tensioni lungo la linea di confine, alla fine, hanno sì parlato alla “pancia” degli elettori, peraltro in parte inascoltati”, si legge nel pezzo, dove si parla anche di naufragio in termini elettorali degli slogan tipo “Prima i nostri!” e “Ci rubano il futuro!” - leit motiv della lunga campagna elettorale di Lega ed UDC” (a dire il vero, l’UDC ha conosciuto una crescita, mentre la Lega ha perso qualcosina pur mantenendo i suoi due seggi in Consiglio di Stato).
Cosa dice, quello studio? Si chiama “Travail frontalier et maux du marché du travail: le cas suisse” (Lavoro frontaliero e mali del mercato del lavoro: il caso svizzero) è uno studio condotto da Sylvain Weber, ricercatore dell'Università di Neuchâtel, José V. Ramirez, professore all'Alta scuola di gestione di Ginevra (HEG) e Giovanni Ferro-Luzzi, professore associato all'Università di Ginevra. La conclusione è che i frontalieri non “rubano” il lavoro agli svizzeri.
“La nostra ricerca conferma altre analisi svolte sullo stesso argomento: un aumento del flusso di pendolari transfrontalieri non è seguito da un aumento del tasso di disoccupazione interna. Indipendentemente dal metodo utilizzato, si ottiene un risultato simile: i frontalieri non fanno aumentare il numero di disoccupati tra i residenti svizzeri”, ha spiegato Weber.
“Un'azienda cerca di assumere il proprio personale qualificato nella regione in cui è stabilita. Se non trova i profili che sta cercando, potrebbe essere costretta a trasferire parte delle sue attività. Grazie ai lavoratori frontalieri, può quindi mantenere le sue attività sul posto, a vantaggio anche della forza lavoro locale”, ha proseguito, aggiungendo che” i frontalieri e i lavoratori locali svolgono compiti piuttosto complementari. Non potremmo semplicemente sostituire i lavoratori frontalieri con disoccupati locali, questo ragionamento è troppo semplicistico”.
“I lavoratori frontalieri sono davvero una manna per il paese ospitante. Generano valore aggiunto e contribuiscono alla crescita del PIL quando l'economia sta andando bene. E non appena la situazione si inverte, fanno da ammortizzatore e vengono rimandati a casa quando perdono il lavoro”, ha concluso. “Di conseguenza, non compaiono nella statistica svizzera sulla disoccupazione. Inoltre, le loro prestazioni sono, ad oggi, in gran parte pagate dal paese in cui vivono, mentre versano dei contributi in quello in cui lavorano. La Svizzera trae vantaggio da tutti questi aspetti!”.
E a suo avviso sono l'automazione, i cambiamenti tecnologici e la globalizzazione economica a rendere il mercato del lavoro svizzero più competitivo. “Non è espellendo i frontalieri che permetteremo alle persone in difficoltà di trovare lavoro in Svizzera. L'unica soluzione è la formazione continua”, è la sua ricetta.