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Politica
10.08.17 - 09:480
Aggiornamento: 19.06.18 - 15:43

La verità del Ghiro, "tra il dire e il fare c'è di mezzo il...velo. Le è mancato il coraggio di giocare all'eroina fino in fondo, mentre la figlia mi ha sorriso"

Giorgio Ghiringhelli torna sui fischi e sulla poetessa Hissa Hilal. "Ci accomuna correre dei rischi per difendere i nostri ideali, ma non si deve nascondere la mano dopo aver lanciato il sasso. Qui coprirsi il volto è vietato, se non le andava bene..."

di Giorgio Ghiringhelli*

Durante il dibattito che ha fatto seguito alla proiezione al cinema Kursaal di Locarno del documentario “The Poetess” sono stato indecorosamente e, a mio avviso, immeritatamente fischiato da un pubblico di pseudointellettuali conformisti che non ha gradito una mia garbata critica alla protagonista del film, la poetessa saudita Hissa Hilal. Dato che la stampa ha generalmente riferito in modo incompleto su quanto accaduto, ho pensato bene di puntualizzare alcune cose, pensando soprattutto a chi non era presente.

Un’incoerenza lampante

Sì, è vero, ho osato criticare di incoerenza l’eroina del giorno per il fatto che si era presentata al pubblico del festival con il volto coperto da un foulard. Ma prima di muoverle questa critica le avevo fatto i complimenti per le sue battaglie da femminista in uno dei paesi più retrogradi e medioevali del mondo in fatto di diritti concessi alle donne ( l’Arabia Saudita). Nel documentario a lei dedicato, la protagonista aveva fra l’altro criticato la legge del suo Paese che costringeva le donne a coprirsi da capo a piedi (volto compreso) in pubblico. Poi aveva spiegato che la copertura del viso si giustificava ai tempi in cui i beduini vivevano nel deserto, per proteggersi dai raggi del sole e dalle brame degli uomini, ma non si giustificava più ai nostri tempi. E aveva aggiunto che qualora le fosse capitato di viaggiare all’estero lei non si sarebbe coperta il viso.

Sono dunque logicamente rimasto deluso nel constatare che dalle parole non era passata ai fatti, tanto più che in un articolo apparso sul Giornale del Popolo lo scorso 29 luglio, Marco Zucchi (responsabile della Settimana della critica, sezione autonoma del Festival del film) aveva scritto che “Hissa Hilal verrà a Locarno a viso scoperto, in ossequio alle leggi ticinesi” .

Doppia delusione ! La mia critica di incoerenza dunque ci stava tutta, e già che c’ero ho ricordato alla poetessa che in Ticino lei non solo aveva la possibilità di scoprirsi il viso ma addirittura era tenuta a farlo in base a una norma costituzionale votata dal popolo.

Fischi incivili

Ancor prima di sentire la risposta della poetessa il pubblico ha cominciato a fischiarmi , dando prova di una certa inciviltà e intolleranza nei confronti di chi esprime cortesemente critiche magari sgradite ma incontestabilmente giustificate.

Applausi fragorosi hanno invece accompagnato la risposta della poetessa, la quale si è giustificata dicendo che, siccome nel suo Paese aveva già ricevuto delle minacce di morte, per motivi di sicurezza voleva evitare che qualcuno la fotografasse pubblicando le immagini sulla rete (da notare che gli organizzatori avevano proibito ai presenti di scattar foto). Questa giustificazione data a posteriori, e in netto contrasto con quanto aveva dichiarato nel documentario, ha convinto i suoi acritici fans ma non il sottoscritto .

Le vere eroine dimenticate

Fra l’altro nel documentario la donna aveva dichiarato che le minacce di morte ricevute a seguito di alcune sue poesie nelle quali denunciava la politicizzazione dell’Islam e i soprusi degli uomini sulle donne, non l’avrebbero fermata.

Una bella e coraggiosa dichiarazione, da eroina pronta a morire per la causa in cui crede. Ma dal dire al fare c’è di mezzo il …velo. Tante altre donne sono morte ammazzate nel mondo islamico – e in Europa, anche in Ticino - per aver avuto il coraggio (non solo a parole ma anche con i fatti) di rifiutarsi di indossare il velo o di nascondersi il viso , e tante altre hanno dovuto fuggire dai loro Paesi e rifugiarsi in Occidente per aver avuto il coraggio di denunciare , scrivendo libri ben documentati e non poesie, quel che nell’Islam non va e per aver coerentemente abbandonato la loro religione.

Ma loro non sono finite sotto i riflettori dei mass media e da noi pochi o nessuno si ricorda di loro, né tantomeno le osanna come delle eroine . Invece la poetessa saudita non rinnega nulla : dice di trovarsi bene nell’intollerante Arabia saudita e dice anche di trovarsi bene con l’Islam, che a ben guardare è la causa principale di tutte le nefandezze e le disparità di trattamento che lei denuncia.

Un’occasione persa

La signora si batte ad esempio contro la disuguaglianza dei sessi esistente nel suo Paese , dimenticando forse che essa é sancita in diversi versetti del Corano ( 4:34 – 2:223 – 2:282 – 4:11 – 4:12 – 4:15 – 4:3 – 4:128) . Fa bene a battersi per ciò in cui crede.

Pure il sottoscritto si batte da anni contro la colonizzazione islamica della Svizzera e del continente europeo , che costituisce un pericolo mortale per la democrazia, per le nostre libertà ed i nostri valori.

Ma al festival del film gli applausi vanno alla poetessa e al guastafeste vanno i fischi : nessuno è profeta in patria…

Una cosa ci accomuna : per le nostre battaglie sappiamo entrambi di correre dei rischi e siamo pronti ad accettarne le conseguenze in difesa dei nostri ideali. Ma non si deve nascondere la mano dopo aver lanciato il sasso.

Tirando in ballo motivi di sicurezza per nascondersi il viso anche all’estero , Hissa Hilal ha perso una buona occasione per portare avanti la sua battaglia per l’emancipazione delle donne musulmane. Il palcoscenico del festival era il luogo ed il momento giusto per lanciare un ulteriore segnale contro l’odioso obbligo maschilista e tribale (non certo religioso) di nascondere il volto, facendosi non solo vedere ma anche fotografare a volto scoperto. Ma le è mancato il coraggio di giocare fino in fondo la parte dell’eroina.

La Legge è uguale per tutti

Oltretutto non vedo proprio quali pericoli avrebbe corso qualora le sue foto fossero apparse sulla rete. Nel suo Paese, dove forzatamente gira sempre a volto coperto ( e dove dunque è protetta dall’anonimato garantito dal velo integrale) , la poetessa è stata minacciata di morte per le critiche che lei ha rivolto al sistema, e non avrebbe corso alcun rischio supplementare se si fosse lasciata fotografare a viso scoperto all’estero, in un Paese, oltretutto, in cui vi è il divieto di “dissimulare” il volto, come aveva ricordato lo scorso anno l’ambasciata in Svizzera dell’Arabia Saudita in un comunicato nel quale invitava le turiste saudite a “ rispettare la legge ticinese per evitare problemi”.

Se questa condizione non le andava a genio, poteva anche rimanere nel suo Paese a scrivere poesie e a partecipare a concorsi letterari lautamente remunerati, che le hanno consentito di comprar casa. Ma in questo paese la legge è uguale per tutti, anche per la signora Hissa Hilal.

Un sorriso gratificante

Dopo la proiezione del documentario, mentre stavo sorseggiando un caffè sulla terrazza esterna del Kursaal, ho intravvisto in strada la poetessa, che ancora si copriva il volto, accompagnata dalle sue due giovani figlie, le stesse che nel documentario la seguivano a fare shopping ricoperte da capo a piedi dalla lugubre tunica nera e con la mamma “emanicipata” che nel taxi redarguiva una di loro piuttosto recalcitrante a coprirsi il volto.

A Locarno le due figlie seguivano la mamma velata vestite all’occidentale e senza neppure un foulard a coprire i lunghi e bei capelli. E sembravano felicissime di questa provvisoria e – ahiloro - fugace libertà. Una di loro mi ha riconosciuto e mi ha sorriso. Mi piace credere che abbia sorriso in segno di gratitudine, perché forse ha capito che a volte sono le proibizioni occidentali (come quella di nascondere il volto), e non le poesie di mamma o i fischi dei festivalieri, che garantiscono certe libertà alle donne musulmane .

*promotore dell’iniziativa antiburqa
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