BELLINZONA - 200 franchi per il canone televisivo non bastano. 300 neanche. Il Consiglio di Stato ha respinto l’iniziativa popolare per la sua riduzione, anche in minima parte. Un No secco su tutta la linea, rifiutando anche la proposta del Consiglio federale di portarlo a 300 franchi, una soluzione intermedia tra il canone attuale di 335 franchi e i 200 proposti dall’iniziativa popolare.
Il canone televisivo rimane dunque invariato. Diversamente, “qualsiasi riduzione aggraverebbe la già difficile situazione economica della SRR e condurrebbe inevitabilmente a un rapido sgretolamento del servizio pubblico, essenziale per la coesione del nostro Paese plurilingue e pluriculturale”. È quanto si legge nella lettera del Governo ticinese al direttore del Dipartimento delle comunicazioni (DATEC) Albert Rösti, e riportata dal CdT.
“Minori entrate comporterebbero gravi conseguenze sistemiche, dirette e indirette, sull’intero Paese”, avverte ancora il Governo. “Oltre a una massiccia riduzione del personale SSR e della qualità, genererebbe un ulteriore ridimensionamento del panorama mediatico e del servizio pubblico svizzero, intaccando profondamente e pericolosamente ampiezza e qualità dell’offerta in termini di informazione, cultura, formazione, intrattenimento, sport”.
Una riduzione del canone avrebbe ripercussioni negative, dal punto di vista economico e sociale, anche per il Ticino, se la SSR si dovesse vedere costretta a centralizzare alcuni servizi attualmente erogati dal territorio della Svizzera italiana (segnatamente, dalla RSI). “La radiotelevisione di lingua italiana sarebbe costretta tagliare 40-50 milioni di franchi annui, equivalenti a circa 150-200 posti di lavoro, con conseguenze negative sia sull’indotto che in termini di costi economici e sociali per tutta la collettività”.