BELLINZONA - La morte non può essere separata dalla vita, perché prima o poi vi piomba e la porta via. L’addio a una persona cara è straziante. Però non si può fare altro che accettarla. Michele Corengia è arrivato a questa conclusione dopo anni dalla morte dell’amato nonno.
E ha capito che doveva parlarne. Che la morte arriva, malgrado non ci si pensi spesso. “Mio nonno doveva semplicemente morire”, è la sua conclusione. Quindi, è necessario imparare a morire, come diceva Nietzsche. L’autore ha deciso di farlo attraverso la scrittura, con un progetto ambizioso e ampio. I miei ultimi respiri, la raccolta di poesie che affronta il tema del suicidio, è solo l’inizio.
Egli desidera scrivere una tetralogia, capace di indagare la morte nei suoi molteplici aspetti. Un modo per guardarla in faccia senza paura. Il progetto comprende anche un romanzo, un saggio e una raccolta di racconti, che parlano rispettivamente di sedazione palliativa e morte naturale, eutanasia, morte improvvisa.
A ben vedere, tutto riporta a quel saluto, alla mano del nonno stretta prima della sua morte. Ma doveva andare così, aggiunge l’autore. Il dolore per la scomparsa di una persona cara ha inaugurato per lui un lungo periodo di ricerca. Gli ha dato il coraggio di guardare in faccia l’insondabile.
L’autore, poco più che trentenne, nella sua quotidianità ha a che fare con quella che molti chiamano la ‘Signora in Nero’. È, infatti, dottorando all’Università della Svizzera italiana e si sta occupando della relazione tra Marketing e Cure Palliative. “Detto altrimenti, mi sto chiedendo come il Marketing possa aiutare le cure palliative e cosa le Cure Palliative possano insegnare al Marketing. Nel corso di questa ricerca ho vissuto esperienze significative, culminate in una settimana passata con l’équipe di cure palliative all’ospedale Covid di Locarno”, spiega.
Corengia ha voluto scomporre la morte. Non desidera limitarsi a vederla come la fine della vita, bensì come un processo continuo, che viviamo ogni volta che finisce un amore, che un progetto si interrompe. E mostra che siamo soli nel farlo.
La raccolta di poesie sul suicidio è stata scritta durante la quarantena. Non a caso, secondo l’autore questa “ha chiuso un periodo della mia vita in cui, in senso metaforico, mi sono suicidato per andare in una certa direzione o, citando Nietzsche, per divenire ciò che sono”. Una morte e una rinascita, per scrivere di suicidio e non solo. Togliersi la vita può voler dire lasciare la propria casa per divenire ciò che si è. È il messaggio che vuole passare nella sua opera, dando voce a chi ha preso la decisione di compiere l’estremo gesto.
In I miei ultimi respiri, il protagonista ripercorre lampi di vita prima di suicidarsi: il senso della vita, la famiglia, la ricerca, la perdita, la quarantena. Argomenti che si ricollegano all’esperienza di Corengia. Una tematica eterna e senza tempo come la morte viene affiancata a momenti di vita quotidiana, come il periodo pandemico che ha sconvolto le nostre esistenze. L’autore si mette nei panni della persona che ha scelto di dire addio, volontariamente, al mondo.
Le poesie rappresentano gli ultimi 52 respiri di chi ha deciso di arrendersi e si è gettato in un lago, consapevole che niente può salvarlo: non i cambi di vita, i nuovi amori, le persone che lo amano. E riflette, prima di lasciarsi andare. Sulla vita e su quello che è stato.
Corengia inizia il suo libro con un prologo (prosa), passando poi ai respiri (poesia) e concludendo con un epilogo (prosa).
L’aspirazione della tetralogia, con argomenti delicati, merita attenzione. Il suo coraggio va premiato. I miei ultimi respiri è solo l’inizio di un intenso viaggio dentro sé stessi e la morte.