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Cronaca
22.02.18 - 15:000
Aggiornamento: 19.06.18 - 15:51

Se la povertà viene da lontano... Radiografia dei giovani in assistenza: con famiglie che ne beneficiano alle spalle e un percorso scolastico difficile

Una ricerca commissionata da DECS e DSS evidenzia che la maggior parte dei giovani che necessitano dell'assistenza hanno alle spalle famiglie che avevano lo stesso bisogno. Il 55% di essi non ha un titolo di studio oltre le scuole medie, e quasi tutti hanno faticato già nelle scuole dell'obbligo

BELLINZONA – Il PLR ieri, commentando il risultato del voto sulla possibile legge di applicazione di Prima i nostri, insisteva sulla necessità di lavorare, per aiutare gli indigeni, sulla formazione. “Si rafforzi la formazione professionale, la formazione continua e la riqualifica professionale in un modo del lavoro sempre più flessibile e in continuo cambiamento. Va infine sottolineato come molti profili professionali – anche di alto livello, ad esempio nel campo farmaceutico – sul nostro territorio attualmente non esistono. Per mancanza di una formazione adeguata o perché non adatti alle nuove esigenze del mercato del lavoro.L’orientamento nel percorso formativo è quindi importante già dalle scuole medie, specie per quanto concerne le materie cosiddette MINT (matematica, informatica, scienze e tecnica, anche tra le ragazze) e le lingue (tedesco e inglese). D’altra parte, la tendenza a credere che la formazione professionale sia inferiore a quella accademica è sbagliata”, si leggeva in una nota.

E i dati emersi da una commissionata dal Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport (DECS) con il supporto del Dipartimento della sanità e della socialità (DSS) in merito ai giovani sotto i vent’anni che beneficiano dell’assistenza, si può dar loro ragione.

Infatti, oltre la metà di questi giovani (55%) non ha,a tutt’oggi, conseguito alcun titolo di studio dopo la scuola media. Pochissimi hanno iniziato una scuola medio superiore e praticamente nessuno l’ha terminata. Le difficoltà vengono già da prima: il loro percorso scolastico è stato più travagliato sin dalla scuola dell’obbligo. È indicativo che nell’anno scolastico 2008/2009 solo il 10.9% di loro, in III media frequentava il livello attitudinale (corso A) di matematica, a fronte del 59.5% del resto della coorte. Ben il 12.5% di questi giovani seguiva il corso pratico (l’attuale differenziazione curricolare) al posto di questa materia, a fronte di solo l’1.9% dei loro coetanei.

Ma purtroppo, non è solo questo. Un dato che fa riflettere è che molti di essi arrivano da famiglie che già a loro volta beneficiano di aiuti sociali. Ovvero, le famiglie di provenienza, e dunque la classe socioeconomica, ha dunque un peso fondamentale, sia nei problemi a scuola sia poi a inserirsi nella società e nel mondo del lavoro. Una realtà triste, ben messa in evidenza dalla ricerca. Per la maggior parte di questi giovani adulti il ricorso all’assistenza sociale non sembra essere unicamente il frutto di scelte formative sbagliate, quanto piuttosto il proseguimento di una traiettoria di vita che, già dall’infanzia, li vedeva fruitori indiretti di sostegno sociale, o comunque in situazione di disagio economico: dati che fanno riflettere.

Si constata che il 6.12% della coorte di allievi che frequentava la III media nell’anno scolastico 2008/2009 è stato titolare di assistenza sociale tra il 2008 e il 2016. Un giovane su venti (5.12%) lo era nel 2016. Osservando l’evoluzione della proporzione di coloro che, da minorenni, beneficiavano di aiuti sociali come membri di famiglie in assistenza e quella attuale di chi ne è titolare, si rileva come nella maggior parte dei casi il compimento della maggiore età ha comportato la necessità di richiedere un aiuto individuale. Il fatto di ricevere prestazioni sociali già prima del 2010, quindi in famiglia, predice fortemente il fatto di fruirne successivamente da titolare.

Una realtà triste. Cosa fare per cambiarla? Difficile, ovviamente. I risultati dello studio evidenziano la necessità di interventi mirati e precoci, con un maggior coordinamento tra gli enti e gli uffici che, in diversi momenti e con misure diversificate, accompagnano questi giovani nella transizione tra la scuola e il lavoro. In questo senso lo studio conferma l’importanza della collaborazione interistiuzionale già in atto tra il DECS e il DSS e rispettivamente l’esigenza di continuare a investire in questo ambito, si impegnano i Dipartimenti. Basterà? È quel che si spera, ma la desolazione della situazione fa apparire questo tentativo come quello di svuotare il mare con un cucchiaio.

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