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Cronaca
30.10.19 - 16:090

"India parla con gli occhi, non vuole la pietà di nessuno. Nur non può lavorare né giocare a calcio, ora dipinge"

La famiglia apolide raccontata dall'ex docente della giovanissima. "Lei non voleva raccontare nemmeno ai compagni la storia. Quando si trattava di decidere il futuro, con me ha pianto diverse volte. Che fatica farla venire alle porte aperte dell'OBV"

MORBIO – India e suo fratello Nur, i due ragazzi apolidi che hanno ricevuto la decisione della SEM secondo cui dovranno lasciare la Svizzera, non rilasciano interviste. Sono finiti sotto i riflettori, in questi giorni, grazie anche all’azione delle amiche della ragazza, ma loro preferiscono non parlare. Anzi, spesso non lo fanno nemmeno con chi li conosce, quel che provano lo trasmettono con uno sguardo.

A raccontarci qualcosa in più della vicenda, di come viene vissuta sia dalla giovane che dai suoi ex compagni, è l’ex docente di classe di India, Dania Tropea, che si è presa molto a cuore il caso. “India è davvero una ragazza speciale, per questo mi sto esponendo così tanto”, ci dice.

Com’è ora la situazione? Avete qualche novità?

“Recandoci a Berna abbiamo consegnato le firme. Il gruppo di rappresentanza delle compagne di India hanno parlato col portavoce della SEM, il quale ci ha ascoltati e ci ha detto che ci avrebbe dato un riscontro per le firme ma che essendo il portavoce non poteva garantire nulla e che non aveva la possibilità di parlare del dossier specificatamente. L’unica novità è la volontà dell’avvocato della famiglia di presentare un ricorso al Tribunale Amministrativo Federale. Ho spiegato a India che sono rimasti colpiti dal numero di firme raccolto, sia a livello online che cartaceo, non voglio comunque darle false speranze. Tra l’altro la petizione online proseguirà, non vogliamo darci per vinti”.

Come sta vivendo la famiglia tutta questa situazione?

“India è una ragazzina molto discreta, però allo stesso modo matura e coi piedi per terra. La loro è una situazione fragile, non c’è un padre. Sono persone solitamente molto allegre e positive, mi colpisce in maniera impressionante la loro maturità. India è davvero in gamba, glielo assicuro. La reazione si vede nei loro occhi: non fanno teatrini, non sono così. La ragazza è arrivata in classe da noi a Morbio (qui hanno ricevuto un appartamento) in quarta, prima era stata a Pregassona e a Biasca, a causa dei trasferimenti nei vari centri, ed ho dovuto spingerla a raccontare la sua storia ai compagni. È per quello che non vuole rilasciare interviste, desidera che la gente non abbia pietà di lei. Ha la fortuna di avere l’affetto di una comunità. Quando hanno ricevuto la notizia che anche il ricorso per essere riconosciuti apolidi non hanno commentato molto, io però guardando India ho sentito il cuore cadere nelle scarpe”.

Come nasce il loro fatto di essere apolidi?

“La situazione è legata al fatto che loro sono origini alla zona di confine tra Etiopia e Eritrea. Quando hanno chiesto i documenti, nessuno dei due stati li ha riconosciuti come cittadini, mentre la SEM sostiene che siano etiopi, come la madre. Il padre però è eritreo, e il fatto che non ci sia complica tutto. È quello che mi fa arrabbiare, loro sono cresciuti qui, addirittura Nur ha terminato un apprendistato. Ora non può lavorare, lei segue la Scuola di Commercio di Chiasso perché i direttori si sono accordati. Essendo sans papier, sono in un limbo burocratico. Non ottengono nessun documento, la SEM invece lascia intendere che la famiglia non collabori e che in realtà sia etiope. Quando riceveranno appunto il documento etiope saranno rimpatriati a causa degli accordi tra Svizzera e Etiopia, che per il nostro paese è sicura. In tutto questo, però, sono passati otto anni. non si può mettere in pausa delle vite per otto anni!”.

Ma nella vita di tutti i giorni, il limbo cosa comporta?

“Quando ho conosciuto India, in quarta, facevamo molte attività sull’orientamento, parlando del futuro. Inizialmente diceva che il suo sogno era diventare infermiera, poi si è capito, lo hanno percepito i compagni, che era in crisi, non riusciva a pensare al dopo. Veniva spesso da me, in quei momenti ha avuto alcune crisi di pianto. Ma ha una grande dignità e un orgoglio e non voleva raccontare la sua storia. Poi è subentrata la restrizione territoriali in tre Comuni. I compagni lo hanno scoperto perché lei non poteva andare al compleanno di un ragazzo che viveva in un altro comune; pensi che ho fatto i salti mortali per portarla alle porte aperte dell’OBV di Mendrisio! Nur ora si è dato alla pittura, sta organizzando una mostra a Chiasso perché non può far nient’altro, non può lavorare. Giocava a calcio nel Melide ma ora non ha la possibilità di andarci, perché è fuori dalla restrizione territoriale”.

Oltre alla mobilitazione per India, c’è anche quella per Mark, il ragazzo ucraino rimpatriato. Lei da docente come legge questo fenomeno: i giovani si ribellano perché si tratta di loro amici o c’è sotto qualcosa di culturale e sociale?

“I miei allievi l’anno scorso avevano 14-15 anni, si sono mossi perché qualcosa di più grande di loro li ha toccati, perché hanno capito che una loro compagna non poteva fare ciò che facevano loro. Si chiedevano cosa avesse fatto di male India, perché fosse come loro ma non poteva scegliere. Il tema della migrazione è diventato un problema concreto. Sono stati poi spinti dall’affetto, dal fatto di vedere un’ingiustizia davanti ai loro occhi. La presa di coscienza più grande c’è forse da parte di alcune compagne, però è diverso dal caso di Mark, dove i ragazzi sono più grandi. I nostri si sono mossi partendo dal basso, con una determinazione pura, una coerenza che ci ha portato sino a Berna”.

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