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Cronaca
17.02.20 - 10:410

"Su quella barella vidi mio padre privo di sensi, pallidissimo, i capelli e la barba sporchi di sangue. Non si riprese mai più"

Dieci anni dopo il funerale, il figlio Alessio racconta i drammatici momenti che seguirono l'incidente di suo padre Bill. "Una cosa del genere non la dimentichi mai più, ci devi convivere, devi imparare a controllare dolore e rabbia"

BELLINZONA - Dieci anni fa ci lasicava Bill Arigoni, che è stato ricordato a più riprese, anche da parte dei media. Nel giorno del decennale dal funerale, il figlio ha voluto raccontare sui social, in modo inedito, crudo ma al contempo tenerissimo, i momenti che sono seguiti all'incidente che ha causato la morte del padre.

Abbiamo già ricordato Giuseppe Arigoni attraverso le parole di Alessio, però questo post merita di essere letto, tutto d'un fiato. Non servono commenti. Solo il ricordo e l'orgoglio e la nostalgia di un figlio.

"Sono stati attimi di soffocanti vertigini e terrore quelli che ho provato quel giorno quando attorno alle 18.40 durante una seduta della Commissione Petizioni del consiglio comunale di Lugano venni raggiunto dalla telefonata di Elena, la moglie di Bill, che in lacrime mi avvisava dell’incidente.

Abitando vicino al luogo dell’incidente lei fu una delle prime persone a soccorrerlo. Era per terra in mezzo alla strada in una pozza di sangue. Una visione che ti cambia la vita. 

Mollai tutto e mi precipitai all’Ospedale Civico. Non ho ricordi del mio viaggio. Fui tra i primi ad arrivare al pronto soccorso e dovetti aspettare l’arrivo dell’ambulanza. Nel cartellone elettronico in sala d’aspetto si informava l’utenza dell’arrivo di un codice rosso, la massima urgenza. Mio padre era in pericolo di vita. 

L’angoscia e il panico mi assalgono. Arrivano altri parenti, il cellulare comincia a suonare. Poi vidi una delle più brutte scene della mia vita. I soccorritori mi passarono davanti di corsa con mio padre sulla barella privo di sensi, pallidissimo, i capelli e la barba sporchi di sangue, circondato da tubi e tubicini e scomparirono nelle viscere del nosocomio. 

Lo rividi in piena notte alle cure intense. 

Non si riprese mai più. Gli abbiamo parlato, lo abbiamo accarezzato, con l’illusione disperata di poterlo aiutare. Ricordo che aveva le mani calde. Non ci potevo credere che il mio “guerriero” era in fin di vita davanti ai miei occhi. 

Ma alla fine il verdetto arrivò: situazione irreversibile. L’ematoma cerebrale era troppo grande. Bill se ne era andato. In un misero filo di energia a noi rimasta decidemmo di donare i suoi organi come avrebbe voluto lui. 

Una cosa del genere non la dimentichi mai più, ci devi convivere. 

Devi imparare a controllare quel dolore e quella rabbia che monta ogniqualvolta pensi all’ingiustizia subita da una persona così buona e altruista e a quanto vorresti ancora potergli parlare o fargli una carezza, un tenero abbraccio, una risata. Devi chiudere tutto ciò in una scatola della mente e goderti quello che di bello ti ha lasciato. Non è facile ma devi farlo per sopravvivere. 

E non voglio neppure pensare al dolore di chi lo ha amato fino all’ultimo secondo come Elena o a chi ha perso un figlio come mia nonna Liliana che all’epoca aveva 86 anni. Lei se ne andò nel 2014 portandosi dietro in silenzio tutto quel dolore.

Un piccolo moto di serenità mi viene pensando che Bill aveva deciso di lasciare l’attività politica nelle istituzioni (per lui non superare le tre legislature era fondamentale per rinnovare la classe politica) e di ridurre dopo 40 anni l’attivismo politico e quindi aveva già chiuso e archiviato parecchi dei suoi dossier con la serenità di una persona che ha fatto tutto il possibile per i propri ideali. 

Quanto a me sono contento solo del fatto che con lui non ho lasciato nulla in sospeso.
Ora non ci resta che ricordare le sue idee e se caso farle nostre".

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