NEW YORK – Nel bel mezzo della crisi legata al Coronavirus, in molti non hanno prestato attenzione a qualcosa di storico che è avvenuto ieri: per la prima volta, il prezzo del petrolio è sceso sotto lo zero ed anzi era negativo, raggiungendo i -37,63 dollari al barile. Oggi è vicino allo zero, il crollo di ieri è senza dubbio storico, frutto di un lungo processo.
In pratica, sono i produttori di petrolio a pagare pur di disfarsi delle scorte che hanno a disposizione. E se si vuole usare un paragone, il succo d’arancia ieri costava 30 volte in più rispetto al greggio! Una situazione assurda che riporta di un mondo ormai sul filo di una crisi di nervi, anche se il prezzo della benzina è solo in parte la diretta conseguenza del prezzo del petrolio, cioè della materia prima. A questo si aggiungono i costi di raffinazione, di trasporto e le tasse.
Da mesi il prezzo è in calo, per un rimpallo (soprattutto politico) tra i paesi arabi radunati nell’OPEC e la Russia, tra i maggiori produttori assieme agli Stati Uniti. OPEC e Russia hanno raggiunto un accordo a inizio marzo dove si decideva di ridurre del 10% la produzione. Quando i prezzi, a causa della scarsa domanda e dell’incertezza legate al Coronavirus, avevano cominciato a scendere, i due colossi avevano scelto di non produrre meno, in una guerra commerciale senza esclusione di colpi con gli USA.
Smettere di produrre, comunque, non è semplice. I pozzi non hanno il tasto on-off. Bisogna trovare chi immagazzina il petrolio stesso: al momento, i produttori sono disposti quasi a pagare per liberarsi delle scorte che nessuno pare volere.
Anche gli USA dovranno ridurre la produzione? Probabilmente sì, anche se la questione è più complicata rispetto a quel che è successo con Russia e OPEC, perché le società americane non sono gestite e controllate dallo stato bensì private. Una crisi potrebbe portarle in fretta in bancarotta. Il Governo americano ha anche ipotizzato un intervento per aiutare questo settore così importante.