TORINO - Alessandro e Cristina Giacoletto hanno deciso di farla finita. Tre anni dopo la loro figlia, Chiara, morta suicida a 28 anni. La storia della famiglia Giacoletto è un tragico esempio delle devastanti conseguenze che possono avere gli abusi sui minori e delle difficoltà di ottenere giustizia. Chiara, violentata da bambina da un parente insospettabile con libero accesso alla sua casa, ha subito un trauma così profondo da indurla, tre anni fa, al suicidio.
Il colpevole, morto da tempo a causa di un tumore, non ha mai potuto essere processato, e la prescrizione per reati simili ha reso impossibile ogni azione legale. I suoi genitori, Alessandro e Cristina, si sono quindi battuti fino alla fine per sensibilizzare il pubblico sul tema, partecipando anche alla campagna "Justice Initiative" di Emergency per portare attenzione su una normativa che spesso impedisce alle vittime di ottenere giustizia.
"È importante fare molta attenzione, imparare ad affinare le nostre sensibilità e la nostra capacità di percepire le emozioni di chi ci sta a fianco – avevano raccontato durante un convegno a Milano –. Più si i è piccoli e più la mente, purtroppo, rimuove il trauma. Lo nasconde e a volte lo recupera a distanza di 10, 15 o 20 anni, quando ormai il danno è talmente grande e devastante che nemmeno la migliore psicoterapia del mondo, il migliore farmaco, il migliore psichiatra dell’universo è più in grado di ricomporre le migliaia di pezzi in cui il cuore è andato. Ogni mattina le vittime devono ricomporre i cocci della loro esistenza e provare a trovare un motivo buono per continuare a vivere".
Alessandro, 64 anni, e Cristina, 59, hanno condiviso pubblicamente il loro dolore per dare voce a chi non ne ha, sottolineando come i traumi infantili vengano spesso rimossi e riemergano solo anni dopo, quando le ferite sono ormai insanabili. Questo li ha portati a vivere con un senso di colpa schiacciante per non essere riusciti a percepire in tempo i segnali di disagio della figlia. La loro lotta per trovare un "motivo buono" per continuare a vivere si è rivelata vana. Cristina, dopo aver venduto la sua farmacia e devoluto il ricavato a una fondazione per bambini in Etiopia, ha tentato più volte il suicidio, mentre Alessandro, medico molto stimato, ha visto la sua vita e la sua forza sgretolarsi.
Il 1° dicembre, data che avrebbe segnato il 31° compleanno di Chiara, i due genitori hanno pianificato nei minimi dettagli il loro ultimo gesto, lasciando lettere e precise indicazioni per la suddivisione dei loro beni. Gli amici, pur intuendo il tragico epilogo, non sono riusciti a convincerli a cambiare idea. L'arrivo dell'elicottero del 118 il 9 dicembre ha confermato ciò che tutti temevano: Alessandro e Cristina si sono tolti la vita, ponendo fine a un dolore insopportabile. Un dolore che la coppia aveva raccontato in un'intervista a un giornale locale.
L'articolo era uscito il 4 dicembre e pochi giorni dopo i due coniugi sono stati trovati nella loro auto chiusa nel garage di casa, privi di conoscenza e in condizioni disperate. A nulla sono valsi i soccorsi: la donna è mancata nove giorni dopo il ricovero all'ospedale Molinette di Torino. Alessandro l'ha raggiunta il 23 dicembre, dopo due settimane trascorse nel reparto di rianimazione all'ospedale San Luigi. "Suicidio - avevano spiegato al quotidiano riferendosi alla vicenda della loro figlia - non è la parola corretta. Chi pone fine alla sua vita a causa di una violenza è vittima di un omicidio psichico e il suo aguzzino è un assassino. Ora noi siamo soltanto ombre".
La comunità di Rivalta e Orbassano, scossa dalla tragedia, conserva però un ricordo luminoso della famiglia: Alessandro, medico devoto che aiutava mezzo paese, e Cristina, farmacista generosa e paziente. Il trauma della perdita di Chiara e il senso di impotenza hanno distrutto due persone eccezionali. Come diceva spesso Alessandro, "quando a una farfalla si toccano le ali, smette di volare", citando una frase di Mauro Corona.