Politica
21.02.17 - 20:050
Aggiornamento: 19.06.18 - 15:43
Don Feliciani, "rispettiamo chi sceglie di morire. Ma che non sia lontano dagli occhi dei bambini: quella sarebbe ipocrisia!"
L'arciprete di Chiasso sviscera con noi il tema della dolce morte, da Giovanni Paolo II all'accanimento terapeutico, dall'individualismo e dei martiri. "Temo che il diritto possa diventare un dovere"
CHIASSO - Quello della dolce morte è un tema tornato sotto i riflettori dopo la denuncia di Fonio di un caso praticato, senza autorizzazione, a Chiasso. E quel che colpisce è che per molti la pratica sembra essere accettata, ma vada operata lontano da occhi sensibili. Ne abbiamo parlato con Don Gianfranco Feliciani, che come sempre con schiettezza ha sviscerato diversi dubbi che l'argomento fa nascere.
Un tema complesso e delicato, lei che posizione ha?"Io ritengo sia un problema umano, e che la fede non sia qualcosa di estrinseco all'umano. (esita, ndr) Cosa vuole che le dica... ognuno tiene alla propria pelle. Di fronte alle prospettiva della sofferenza, di un dolore terribile, della morte, come si comporta? I confini non sono chiari, non si può dire se si è pro o contro, ogni caso è a sé. Penso a Giovanni Paolo II, quando nei suoi ultimi giorni di vita rifiutò un ricovero all'Ospedale Gemelli, dicendo "lasciatemi andare alla casa del Signore"".
Non si tratta di una dolce morte, però, ma di un non accanimento terapeutico..."Anche parlare di accanimento terapeutico, sospensione delle terapie è relativo. Quando penso ai malati e ai morenti mi accosto a coloro che hanno paura della sofferenza e amministrano loro farmaci e medicamenti che tolgono il dolore, ma in un certo modo affrettano la morte: per me è giusto, non siamo fatti per soffrire bensì per stare bene. E si apre un altro discorso, mi viene in mente chi rifiuta la chemioterapia pur sapendo di poter guarire (come la ragazza italiana diciottenne passata per Bellinzona, ndr). Abbiamo bisogno di aiutare le persone a vivere con dignità, non giudico chi è talmente disperato e solo che chiede di farla finita.
Se un suo conoscente, amico o parrocchiano le annunciasse di voler morire, per esempio con Exit, come si comporterebbe?"Non mi è mai accaduto. Ci sono state persone che me lo hanno detto ma non hanno mai avuto il coraggio di farlo. In loro c'era una tale premura e una tale delicatezza che non hanno chiesto la dolce morte. Conosco invece chi ha rifiutato anche le terapie più normali, ho rispettato loro e la loro scelta, li ho accompagnati verso la morte. Sarei disposto a dare l'estrema unzione a chi vuole morire? Certo, ci mancherebbe altro. Nessuno è escluso, anzi."
Sui social, in molti sembrano appoggiare la libertà di scelta. Come lo leggiamo?"Mi chiedo però se questo non sia un fenomeno del nostro individualismo: si sceglie di farla finita perché non se ne può più o perché non si hanno appoggio e affetto? Nei paesi del terzo mondo soffrono molto più di noi a livello fisico, non hanno medicine, non hanno neppure il cibo, eppure la comunità riesce a supplire. Madre Teresa diceva che morire di solitudine è peggio di morire di fame, e mi chiedo se questo non è un segno del nostro individualismo estremo che porta a queste scelte. Ritengo si faccia in fretta a parlare in teoria, poi la pratica è diversa. Quando una persona sperimenta la malattia rivede molte cose del suo vissuto, si apre a realtà che prima non aveva mai preso in considerazione. Pensiamo a tutte le volte in cui abbiamo sofferto anche a livello di cuore e mente, le certezze traballano. I sondaggi e le discussioni sono un po' superficiali".
Vede qualcosa che le fa paura, in questa pratica?"Un conto è il diritto a morire, ma se poi un domani diventasse il dovere di farlo? Qualcuno, per esempio, non ha più soldi ed è solo, e vive da solo o in casa anziani, vede attorno a sé un clima dove gli si fa capire che è ora che se ne vada, che dà fastidio e non vorrei che il diritto diventasse un dovere. Mi fa paura. La domanda che dobbiamo porci è: cosa fanno la nostra società, la nostra famiglia, per i malati e per coloro che sono soli? L'anziano viene isolato, viene ritenuto, dato che non produce più, un peso inutile? Dire che si rispettano le scelte è un lavarsi le mani, va proposta una cultura per l'accoglienza, dove le case anziani non siano dei garage ma dei luoghi di vita. I quesiti veri sono questi, è riduttivo schierarsi per il sì o per il no".
Secondo lei, ci vuole coraggio per scegliere di morire?"Non lo so, ripeto che ogni caso è diverso. Pensiamo ai primi martiri cristiani, alle donne vergini che pur di non finire in pasto ai soldati che le avrebbero violate, si sono gettate nel vuoto o nel fuoco. Non sono mai state criticate, anzi sono venerate. Oppure mi viene in mente un conoscente dei miei familiari, un partigiano che pur di non finire in mano ai tedeschi, temendo di rivelare sotto tortura dei nomi, si è suicidato col cianuro. Ha fatto bene? Credo ci sia dell'eroismo. È complicato come tema, e mi dispiace se finisse all'interno di schemi legati alla religione, trascende tutto".
In molti chiedono che la dolce morte avvenga in periferia, lontano dagli occhi. Concorda?"Sarebbe un altro gesto di ipocrisia. I bambini devono sapere che si invecchia, che ci si ammala, che gli anziani non sono il rifiuto della società. Morire lontano da tutti, come se si trattasse di una realtà osé come la prostituzione, non è giusto. Credo bisogni parlare ai bambini di malattia, vecchiaia e morte, il che è tabù. Nelle scuole si parla di come nasce la vita ma non di come muore. È riduttivo dare rispetto purché sia lontano da tutti".