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Cronaca
23.03.17 - 20:000
Aggiornamento: 21.06.18 - 14:17

"Non è un diritto scegliere di morire, anche negli istituti pubblici? Anni fa, ci fu un caso a Chiasso e la persona dovette uscire dalla casa anziani"

Marco Ferrazzini, consigliere comunale socialista, rilancia il tema del suicidio assistito. "Le autorità scappano di fronte a questo tema. Potrebbe intervenire Exit, che non specula"

CHIASSO – La Carpe Diem di Isabelle Scherrer lascia Chiasso: troppi mugugni per l’attività praticata, quella di accompagnare le persone alla dolce morte, e difficoltà col Comune. Si trasferirà nel Luganese, ma intanto il dibattito sul tema si è riacceso più forte che mai. A contribuire è arrivato ora il consigliere comunale socialista Marco Ferrazzini, con un atto parlamentare, che chiede al Municipio di consentire il suicidio assistito nelle strutture comunali, ovvero le due case anziani.

Quanto ha influito nella sua decisione di farsi sentire l’approdo a Chiasso delle due strutture?
“Se ne parla molto a livello di società che cercano di impiantarsi con delle loro ditte private, ma è un’altra cosa. Io lancio la palla al Capo del Municipio chiedendo se è d’accordo col fatto che il suicidio assistito è un diritto, indipendentemente dalla questione dell’insediamento di varie società che svolgono questa attività. Su queste si può discutere, dovrebbe essere il Cantone a legiferare, ma vedo che vuole scappare sul tema. Rimane la questione di principio. Il Gran Consiglio ha detto no, a maggioranza, al fatto che si possa ricorrere alla dolce morte negli istituti di proprietà cantonale, ma le case anziani sono di proprietà del comune, e potrebbe garantire il diritto. Bisogna però discutere sul fatto che sia un diritto. Probabilmente non c’è nessuno che lo chiede per 10 anni, oppure ci sarà un caso domani, non lo sappiamo. Voglio rilanciare la palla nel campo della discussione sull’applicazione del principio, dato che gli enti pubblici scappano”.

Però Chiasso, dicendo di sì, andrebbe in un certo senso contro il Cantone, non trova?
“Il Cantone ha detto di no, l’importante è non trovarsi contro l’affermazione di un diritto”.

D’accordo, si troverebbe a essere un unicum a livello cantonale…
“Un unicum che sarebbe però  una cosa normale. Perchè una persona che sta molto male e vuole finire i suoi giorni, ovviamente seguendo gli iter giuridici e dell’etica in modo ineccepibile, non può decidere di farlo? È facile parlare delle ditte, che praticano business eccetera, ma la domanda da cui è difficile scappare riguarda quanto deve accadere nei nostri istituti pubblici”.

Ci vorrebbero persone atte a praticare la dolce morte. Non crede che anche il personale dovrebbe in qualche modo venir aggiornato?
“Exit lo fa in modo non speculativo. Le persone che lavorano in casa anziani non dovrebbero fare nulla, assolutamente”.

Lei pone l’accento sulle case anziani, resterebbe un diritto solo per loro… (la discussione cantonale invece pensava anche agli ospedali)
“Penso agli istituti comunali, ognuno a casa propria fa ciò che vuole. Mi risulta che anni fa c’è stato un caso del genere di cui nessuno ha parlato. Questa persona ha dovuto uscire dalle mura della casa anziani per praticare il suicidio assistito. È giusto che debba uscire da un istituto dove è degente, dove vivono, hanno il domicilio, che è privato come quello di una casa, e pagano un affitto? Il quesito è semplice, complicata è la risposta”.

Il permesso esplicito non rischierebbe di creare un incentivo? Ovvero, una persona anziana si sente di troppo e ricorre al suicidio assistito?
“Non penso proprio, anzi. Volendo potrebbero già farlo a casa loro. Se non vogliamo che ci sia un businnes, il Cantone regoli la sfera di questo problema. Invece scappa!”

Perché, secondo lei?
“Sono cose difficili da affrontare, si suscitano reazioni emotive e culturali, dunque è meglio non intervenire, dato che si parla di diritti sulla vita e sulla morte”.

Cosa si aspetta concretamente dal Municipio?
“Spero dicano di sì, ma il mio è un contributo al dibattito. Non è un tema che riguarda solo Chiasso”.

È favorevole a strutture come Carpe Diem o quella di Mariangela Gasperini?
“Non le conosco, per cui non so. Si dice che non si deve fare businnes sulla morte, però quanti medici e complessi medici lo fanno sulla vita? Non è business il loro? Ciascuno cerca il guadagno. Le regole le deve dettare il Comune. Io sono comunque contrario al fatto che venga praticata la dolce morte speculando, ma posso fare nulla. Il Comune, quando riceve domanda di insediamento di queste strutture, ha un vuoto di direttive da parte delle autorità superiori, e capisco l’imbarazzo del Municipio, che deve fare attenzione alle speculazione. Però non voglio entrare nel merito di questo, il mio atto non concerne altre situazioni”.


Paola Bernasconi
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