di Tamara Merlo*
Sulla vicenda del funzionario pubblico (ex responsabile dell'Ufficio giovani) accusato di coazione e violenza sessuale nei confronti di tre donne alle dipendenze del cantone al momento dei fatti (una era addirittura minorenne), e riconosciuto colpevole di coazione sessuale (con una pena sospesa che gli permetterà di evitare il carcere), si sono rivolti al Consiglio di Stato i colleghi Matteo Pronzini, da un lato, e Fiorenzo Dadò e Maurizio Agustoni, dall'altro. Hanno formulato una serie di domande che mi sembra coprano il tema, sia dal punto di vista delle responsabilità passate (ci sono state delle segnalazioni da parte delle vittime ai superiori nell'amministrazione cantonale? Cosa è stato fatto al riguardo?), sia di come lo Stato agisca attualmente in casi simili.
Come nel caso dell'EOC di cui il Gran Consiglio si è occupato non molto tempo fa, è fondamentale che la reazione dell'ente pubblico di fronte a questi fatti non si limiti all'occasionale direttiva, a una serie di regole scritte che poi però non trovano puntuale riscontro nella pratica.
Se le segnalazioni ci sono state, è inaccettabile che il Cantone non si sia attivato per proteggere e aiutare chi ha segnalato. La situazione di chi è vittima di abusi e molestie sul posto di lavoro ad opera di colleghi e superiori è estremamente difficile.
Già solo parlarne e denunciare richiede un'enorme forza d'animo. Se poi le segnalazioni, le richieste d'aiuto, si trovano di fronte a un muro di silenzio omertoso, la vittima è vittima due volte.
È la mentalità che deve cambiare.
Come individui e come Stato dobbiamo scegliere da che parte stare.
Con chi sta la gerarchia della nostra amministrazione cantonale?
Vogliamo saperlo. Noi donne vogliamo saperlo.
E la risposta non deve venire da regole, protocolli, paginette scritte (seppure con buone intenzioni): deve venire da atti concreti, da prese di posizioni forti, pubbliche, cristalline.
*candidata Più Donne