LUGANO – Quando si parla di Molinari, o quanto meno di simpatizzanti dell’autogestione, spesso ci si riferisce a un insieme di persone non ben connotata, data la difficoltà di interagire e parlare con i suoi rappresentanti.
Abbiamo fatto una lunga chiacchierata con una ragazza, poco più che vent’enne, Shada, che, pur non dicendosi d’accordo in toto col pensiero del CSOA, ha partecipato alla manifestazione di sabato e prende parte a eventi al Molino. Non ci sta a sentir definire violento il corteo dell’altro giorno, e con le sue parole ci apre uno spiraglio su chi sono realmente gli autogestiti.
Chi sono le persone che sono vicine all'autogestione? Vi accusano di essere giovani che vogliono solo bere e fumare spinelli, che non lavorano: cosa rispondi?
“Le persone vicine all’autogestione sono persone che credono nella libertà individuale, che hanno fiducia nel prossimo al punto da non dover imporre regole per poter vivere serenamente. Persone che responsabilizzano in una società che deresponsabilizza, che si fidano dell’altro in un Paese dove il prossimo è diventato persona da temere. Che credono che essere umani significa essere in grado di autogestirsi, che non significhi essere robot standardizzati ma che anzi si è in grado di prendere decisioni anche creative, diverse dal comune senza necessariamente omologarsi a una società che tarpa le ali ma piuttosto che insegna a ognuno come usarle. Autogestirsi non significa voler soltanto bere e fumare, anzi, trovo questo tipo di rappresentazione superata da un punto di vista sociale, culturale e temporale. Gran parte di questi esseri umani occupa la propria vita lavorando nel sociale e nell’arte, facendo volontariato in colonie integrate per bambini e adulti durante fine settimana e mesi estivi. Forse l’idea del molinaro medio che si alza a mezzogiorno ascoltando Jim Morrison con uno spinello in bocca non è un po’ superata?”
Perché secondo te la manifestazione ha fatto così tanto discutere e così tanta paura?
“La manifestazione ha fatto tanta paura, al punto da aver chiamato agenti di polizia ginevrini a proteggere la cosiddetta “zona rossa” che ci ha impedito di entrare in casa nostra: il perché me lo chiedo anche io a distanza di giorni. Penso che il Municipio si sia basato su stereotipi e pregiudizi secondo i quali l’aggettivo “pacifica” non è stato propriamente considerato, e questo ha messo sulla difensiva chiunque avesse potuto sentirsi, politicamente o meno, attaccato; ciò ha significato le polemiche e discussioni che hanno preceduto la manifestazione stessa che peraltro si è svolta senza la violenza di cui si è parlato”.
A volte pare che la politica tema gli autogestiti. Come mai?
“Non penso che la politica tema i Molinari, penso piuttosto che tema una modalità di pensiero che vede tutti uguali, senza confini tra Paesi. Teme un luogo nel quale ognuno si sente libero di essere sé stesso senza i condizionamenti sociali che troviamo fuori dalle mura dell’ex macello. Che è un luogo temuto perché permette di passare una serata in tranquillità senza dover pagare anche l’aria che si respira mentre si sta ballando; unico luogo che propone eventi culturali e musicali dove per entrare non serve mostrare la tessera studente che certifichi il nostro reddito basso".
Da parte di chi frequenta il Molino c'è davvero la volontà di discutere col Municipio per trovare una soluzione?
“A mio parere le intenzioni per trovare una soluzione sono concrete, considerando però anche l’importante fattore emotivo legato alle mura dell’ex Macello, idealmente sarebbe ottimale, quanto utopico, che si desse l’opportunità a chi frequenta il Molino di occuparsi in prima persona dei lavori di ristrutturazione: magari attraverso una raccolta fondi? Attraverso risorse secondarie? Vederlo cadere a pezzi insieme alla sua storia sarebbe deleterio per chi tra quelle mura ci ha vissuto e condiviso parte della propria vita. In conclusione, credo che la volontà di trovare una soluzione ci sia, se si considerassero altri fattori oltre a quello economico".
Per voi che avete partecipato, che significato aveva quella manifestazione?
“Parlo a nome mio perché penso che ogni partecipante abbia dato un significato differente alla manifestazione, per qualcuno aveva lo scopo di difendere il Molino, per altri è stata un’occasione per manifestare contro una politica che non rappresenta ogni cittadino, per altri ancora un voler far vedere quante persone credono ancora in un’autogestione che possa funzionare. Personalmente trovo un denominatore comune ai significati di ognuno, la chiamo libertà di espressione. Penso di poter parlare a nome di ogni partecipante dicendo che ognuno si è potuto sentire libero di esprimere un pensiero, di urlare contro a una città che non rappresenta tutte le realtà sociali presenti a Lugano, di sentirsi parte di un collettivo che ha permesso di sentirsi tutti uguali, uniti attraverso un unico pensiero basato sull’uguaglianza e sul rispetto”.