di Francesca Amaddeo *
Come da consuetudine, in limine (e durante) le vacanze natalizie il tema dei frontalieri nei rapporti italo-svizzeri si ripresenta, con nuances sempre nuove. A dare il via, alcune modifiche a livello di norme nazionali italiane: dall’applicazione del 3-6% al salario netto del frontaliere che dovrà contribuire al Servizio sanitario nazionale italiano (SSN), al versamento di tale contributo aggiuntivo al personale medico ed infermieristico di frontiera, passando per le “temute” frazioni di giorno in tema di residenza fiscale.
Si aggiungano una serie di accordi amichevoli. A fine novembre 2023, ecco che si annuncia la firma di non uno, ma due accordi amichevoli in tema di telelavoro. Uno per dare validità alla norma “transitoria”che era stata implementata solo a livello nazionale italiano, l’altro pro futuro. Di cosa parliamo? In sostanza, i frontalieri fiscali (si badi bene, con rientro giornaliero, residenti nei 20 km dalla frontiera) potranno svolgere la propria attività da remoto all’estero entro la soglia del 24.9%. Si prefiggono, inoltre, i due Paesi di includere questa soglia nell’Accordo sui frontalieri 2020, tramite la sottoscrizione di un apposito Protocollo di modifica.
Tutto sembra, quindi, allinearsi: un 24.9% valido a fini fiscali e a fini previdenziali (in ragione dei Regolamenti euro-unitari vigenti). Se non fosse che, il 9 gennaio, viene annunciato che l’Italia ha deciso, dopo una lunga impasse, di aderire all’Accordo multilaterale in tema di sicurezza sociale che consente, nel territorio dei Paesi firmatari, di svolgere il telelavoro transfrontaliero entro la soglia del 49.9%. La Svizzera, infatti, aveva già aderito a questa convenzione multilaterale mesi fa: tale accordo, infatti, era in vigore già a far data dal 1° luglio dello scorso anno.
Cosa succede quindi? A livello previdenziale, nei rapporti italo-svizzeri, a partire dal 1° gennaio di quest’anno, sarà consentito lo svolgimento del telelavoro da remoto entro la soglia del 49.9%, mentre, a livello fiscale, l’unica regola presente riguarda:
- (i) solo i frontalieri fiscali, e
- (ii) definisce la soglia del 24.9%.
Incredibile come un Protocollo di modifica ancora da siglare sia già fuori tempo. Ancora, poco prima di Natale, si dà comunicazione della sottoscrizione di un altro accordo amichevole (tecnicamente, una procedura di amichevole composizione), sempre sui frontalieri, ma - stavolta - non sul telelavoro. Si tratta della definizione della lista dei comuni inclusi nei famosi 20 km dalla dogana in cui il lavoratore deve risiedere per ottenere lo status fiscale di frontaliere.
Se per i nuovi frontalieri costituisce un ausilio interpretativo, che valore deve darsi a questa lista per i vecchi frontalieri? Il testo dell’Accordo precedentemente vigente, quello del 1974, non definiva la lista dei comuni che dovevano intendersi entro la fascia dei 20 km. La definizione di questo elenco era affidata ad una sorta di “prassi” o consuetudine che dir si voglia, mai incluso in un trattato internazionale, se non risalendo, come la dottrina insegna, alla Convenzione italo-svizzera per il traffico di frontiera e il pascolo del 1953.
Non da ultimo, giungono notizie dall’Italia dell’applicazione del contributo da prelevarsi per destinarlo alla sanità. Se l’obiettivo è più che corretto e condivisibile, ponendo fine ad una mancata contribuzione da parte di quei residenti in Italia che, benché frontalieri, hanno da sempre utilizzato il Servizio sanitario nazionale italiano (rinunciando a pagare la cassa malati in Svizzera), le modalità inducono qualche perplessità.
Come può uno Stato (l’Italia) che, sottoscrivendo un accordo internazionale (Accordo sulla fiscalità dei frontalieri) ha rinunciato ad applicare il proprio diritto di imporre a quei redditi, frutto dall’attività dipendente del frontaliere prodotti all’estero, arrogarsi la potestà di tassarlo? L’accento deve, inoltre, porsi sulla base imponibile di questo contributo: il salario netto del frontaliere, ossia un reddito già tassato in un altro Paese.
Un contributo che, poi, sarà destinato ad incentivare personale medico ed infermieristico a restare in Italia, dove - forse - bisognerebbe fare qualche riflessione in termini di compatibilità con la disciplina degli aiuti di Stato.
Infine, un’ultima precisazione: la riforma della fiscalità internazionale italiana che, modificando i criteri di residenza fiscale, “introdurrà”; il concetto di frazione di giorno. Non si tratta di un concetto nuovo come sembra, ma già noto nell’applicazione della disciplina convenzionale del reddito da lavoro dipendente. In ogni caso, dovendo trovare applicazione per definire la residenza fiscale di un contribuente, il problema relativo ai frontalieri non è da porsi: il frontaliere fiscale, per definizione è residente (nella maggior parte dei casi) in Italia e svolge la propria attività in Svizzera.
Insomma, un 2024 pieno di spunti.
* avv. dr. iur. - Docente-Ricercatrice Centro Competenze Tributarie Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana - Dipartimento economia aziendale, sanità e sociale