di don Gianfranco Feliciani *
Un fenomeno impressionante è oggi sotto gli occhi di tutti: quello di una accresciuta rozzezza del linguaggio che si è imposta quasi ovunque, diventando una sorta di nuova normalità dei rapporti umani. C’è una scurrilità, una dissacrazione, una violenza verbale che offende e lascia allibiti. Parolacce e insulti sono all’ordine del giorno non solo nelle conversazioni private, ma anche alla radio, nei film, negli spettacoli e nei dibattiti che passa la televisione, dove le voci spesso si accavallano con una maleducazione e una aggressività impressionante. Cosa può significare questo progressivo imbarbarimento del linguaggio? Anche senza essere filosofi è facile capire: dopo le parole ingiuriose si arriva alle mani. Così si legge nel libro biblico del Siracide: “Prima del fuoco c’è vapore e fumo di fornace, così prima del sangue ci sono le ingiurie” (22,24). E lo scrittore messicano Octavio Paz, premio Nobel per la letteratura, ammonisce: “Quando una società si corrompe, il primo a imputridire è il linguaggio”.
Nelle mie frequenti visite a mons. Loris Capovilla, il fedele segretario di papa Giovanni XXIII, a Sotto il Monte in provincia di Bergamo, dalla sua viva voce ho potuto raccogliere questa testimonianza, rivelatrice della bontà, ma anche della squisita arguzia di colui che viene ricordato soprattutto come il “papa buono”. Giovanni XXIII decise un giorno di convocare tutti quei monsignori del Vaticano che avevano il delicato incarico di accompagnare personaggi illustri, capi di Stato, politici, letterati, gente dello spettacolo, all’udienza privata con il pontefice. Siccome il cammino per arrivare all’appartamento papale era piuttosto lungo – diversi spazi, saloni e corridoi da attraversare – papa Giovanni esortava gli accompagnatori a non restare muti come pesci durante il tragitto, ma a riempire il tempo conversando amabilmente con gli illustri ospiti. Naturalmente però dovevano assolutamente astenersi dai discorsi sciocchi, banali e, soprattutto, dai pettegolezzi curiali. Le parole dovevano essere sempre ben calibrate, gentili ed edificanti. Papa Giovanni sintetizzò la sua esortazione dicendo: “Cari monsignori, fate così: parlate, parlate, parlate, ma mi raccomando… non dite niente!”. Tutti risero di gusto, ma tutti intesero la lezione. Leggiamo ancora nel Siracide: “Una bocca amabile moltiplica gli amici, una lingua affabile le buone relazioni” (6,5).
*Arciprete di Chiasso