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24.01.23 - 10:540

Brenno Martignoni: Anna Magnani, interprete del ruolo della vita

Icona del neorealismo e della romanità, il suo sguardo è rimasto impresso nel cuore degli italiani, e non solo. Le sue celebri  interpretazioni le sono valsi l'Oscar nel '56 come miglior attrice protagonista, prima italiana nella storia

di Brenno Martignoni Polti

 

Il 21 marzo 1956 vince l’Oscar come  migliore attrice. Prima italiana nella storia. Primato assoluto. Per una non di lingua inglese. Per “La rosa tatuata” del 1955. Di Daniel Mann. Nel ruolo di Serafina Delle Rose al fianco di Burt Lancaster. Scritto per lei da Tennessee Williams, che l’aveva vista in “Roma città aperta”. Capolavoro del neorealismo. Girato, nel 1945, a guerra appena finita, da Roberto Rossellini. Servendosi di pellicole scadute e di un set di fortuna. Ispirato alle storie vere di Teresa Gullace uccisa dai soldati tedeschi durante l’occupazione di Roma, mentre tentava di parlare al marito fatto prigioniero e di don Luigi Morosini, torturato e ucciso dai nazisti perché in contatto con la Resistenza. Assieme a “Miracolo”. Ancora Roberto Rossellini. A varcare l’oceano. In alea planetaria. Tant’è che il russo Jurij Gagarin. Primo uomo a volare nel cosmo. Il 12 aprile 1961, le riservò un saluto speciale. In dedica, dallo spazio. A conferma che, lei soltanto, in tutto il mondo, poteva essere omaggiata tra le stelle. Anna Magnani. La “Nannarella” dell’avanspettacolo. Nata il 7 marzo 1908. A Roma. Donna di popolo. Sanguigna. Tutta d’un pezzo. Figlia di Marina Magnani. Ragazza madre. Diciottenne. Piccola sartina originaria di Fano. Toccherà alla nonna crescere Anna. In tenera età, sua mamma essendosi trasferita ad Alessandria d’Egitto. Per andare in sposa a un austriaco. Facoltoso. Da qui, le presunte fattezze egiziane di Anna. Agli inizi, pure lei stessa, non si sottrasse all’idea. Ma poi, con il tempo, sentì di affermare le proprie radici. Alla ricerca del padre. Fino a scoprire che era calabrese e che di cognome faceva Del Duce. A quel punto, si stoppò. “Mica volevo passa’ pe’ la figlia del Duce!”. Getti di spontaneità. Reattività da maestra di palcoscenico. Non a caso. L’incontro con Totò. A siglare uno dei più riusciti sodalizi del teatro. Una sintonia che veniva da lontano. Infanzia difficile. Non avere mai conosciuto il papà. Entrambi. Guidati da forte desiderio di riscatto. 

Talento naturale, Anna aveva frequentato il liceo. Studiato pianoforte e arte drammatica. Nel 1972, la sua ultima apparizione. In una torrida notte, nei vicoli romani, rispondendo al regista. È la sua firma. Nel celebre cameo. In “Roma” di Federico Fellini. Una calda giornata del 1973, lasciò la sua casa. Per non farvi ritorno. Mai più. Venti giorni dopo, infatti, spirò nella clinica “Mater Dei” ai Parioli. Era il 26 settembre. Fra poco, faranno cinquant’anni. Strappata violentemente alla vita. Da male fulminante. Senza pietà. Tragica veggenza. L’assassinio di Pina alias Anna Magnani. Colpita a tradimento. Tentando di impedire che il marito venisse portato via da un camion. La celeberrima scena. In “Roma città aperta”. Verismo. Sbattuto sullo schermo. Nella finzione. Falciata da una raffica di colpi. Sotto gli occhi del figlio. Le cui grida strazianti, ne accompagnano l’intenso abbraccio. Tutto finito lì. Su quel selciato. Martire. Mamma di tutte e di tutti. Per sempre. Come nella realtà. “Quasi emblema, in noi l’urlo della Magnani / sotto le ciocche disordinatamente assolute, / rinnova nelle disperate panoramiche, e nelle occhiate vive e mute / si addensa il senso della tragedia”. Non poteva, Pier Paolo Pasolini, trovare versi più belli.

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