VARESE - “Lavoro in Svizzera, ma vivo a Varese”. È il titolo della campagna lanciata in questi giorni dal Comune di Varese per invogliare le famiglie di frontalieri a trasferirsi in città, con una serie di offerte a loro dedicate. Una campagna che promuove una “città giardino”. Ma dietro quel giardino, a pochi chilometri, ci sono i boschi infestati dalle bande della droga. Ne abbiamo già parlato, ma torniamo a farlo prendendo spunto dal fatto di sangue avvenuto venerdì scorso, 10 febbraio, in località Castelveccana, per il quale è indagato un carabiniere in forza alla compagnia di Luino.
“La persona deceduta – hanno fatto sapere gli inquirenti - è stata identificata nel cittadino marocchino Nachat Rachid del 1989, irregolare nel territorio nazionale, ove è entrato con modalità non accertate, mentre alcuni parenti dello stesso si trovano già in Italia in posizione regolare; nel pomeriggio di domani martedì 14 sarà svolta l’autopsia sul corpo del predetto presso l’Istituto di Medicina Legale di Varese. L’attuale iscrizione nel registro delle notizie di reato nei confronti del militare dell’Arma, per il reato di omicidio, potrà essere modificata, regredendo in legittima difesa o in eccesso colposo nell’uso delle armi, od anche elisa, proprio in funzione dell’esito delle attività tecniche in corso”.
Questo è il primo spunto. Il secondo è l’articolo firmato da Andrea Galli, per il Corriere della Sera, che racconta quel che da mesi accade in quella grande distesa boschiva tra Varese, la Valganna e la Valcuvia.
“Sono luoghi di camminate, paesaggi e turisti, ma nel loro mondo di sotto gli spacciatori si ancorano a coordinate opposte: nascondersi nei boschi, vivere in grotte e tende, attendere i tossicodipendenti che tanto sempre e comunque si presentano, eroinomani allo stadio terminale, lavoratori, anziani, mamme coi figli all’asilo e a scuola – scrive il giornalista -. Nessuna zona in Italia come la provincia di Varese contiene una così asfissiante progressione di conquista del territorio, sanguinarie faide, morti ammazzati e gambizzazioni, arsenali di pistole, lame e kalashnikov, adulti irregolari e ragazzini soldato”.
Gli spacciatori, in prevalenza marocchini originari di Béni Mellal dove girano Porsche acquistate con i guadagni illeciti, sfruttano gli oltre 52mila ettari boschivi del Varesotto lasciando un’area, se pressata dalle forze dell’ordine, per colonizzarne subito una nuova, continua il cronista.
Le Procure di Varese e Busto Arsizio, con il personale e i mezzi a disposizione, hanno da mesi avviato plurime inchieste. Ma le bande della droga hanno perfezionato un sistema di turnover: connazionali vanno e vengono dal Marocco, fantasmi che prestano servizio nei boschi, intascano, vengono sostituiti. “La pratica serve a danneggiare gli inquirenti che approntano un’indagine su determinati soggetti salvo appurare che nel mentre sono spariti (…). Uno studio militare dei pusher stabilisce la predisposizione in punti nevralgici delle sentinelle, spesso quei ragazzini-soldato, giunti in Italia da soli, vaganti tra comunità e carceri. Nelle prigioni hanno abitato anche i cosiddetti ‘sottomessi’, quarantenni che si consegnano agli spacciatori, sono incaricati di accompagnare il tossicodipendente fra gli alberi scelti per la consegna, procurano cellulari intestati a proprietari fittizi, batterie di ricarica e cibo in scatola, ché succede come nei bivacchi del West: non accendere fuochi per cucinare casomai si annunci la propria presenza a poliziotti e carabinieri, i quali ormai dedicano alla droga la prevalenza delle attività. Nel tempo i pusher hanno lasciato traccia nella geografia che da Varese muove verso Luino; qualcuno ha dormito nelle case dismesse, conseguenza dello spopolamento delle valli; altri hanno preso provvisoria dimora da donne prive del denaro per pagarli, e son rimasti lì, a dettare ordini e pretendere che venissero soddisfatti”.